Case Law: un circuito di Formula 1 come stabile organizzazione
In un recente caso posto all’attenzione della Corte Suprema dell’India, con sede a New Delhi (Supreme Court of India, New Delhi), si è discusso sulla natura di una struttura da adibire a circuito per lo svolgimento, nel territorio indiano, del “Formula One World Championship”. In particolare, il caso giurisprudenziale vede contrapposti, da una parte, la società inglese (i.e. Formula One World Championship Ltd.), titolare dei diritti commerciali relativi all’evento sportivo, in parte ceduti ad una società indiana che riveste la qualifica di conduttore ed “host” dello stesso e, dall’altra, l’amministrazione fiscale indiana che attribuisce al circuito domestico valore di stabile organizzazione, a differenza della controparte opponente. La Corte Suprema, chiamata a decidere, si è orientata a favore dell’Amministrazione fiscale per i motivi che saranno analizzati nel corso del contributo.
- Premessa: in fatto
Il 24 aprile 2017 è stata emanata dalla Corte Suprema dell’India, con sede a New Delhi (Supreme Court of India, New Delhi), una sentenza di notevole interesse in materia di stabile organizzazione.
Si tratta di un case law che vede protagonisti, da una parte, la Formula One World Championship Ltd., società inglese titolare dei diritti commerciali legati al “Formula One World Championship” (evento di competizione automobilistica di enorme popolarità), e, dall’altra, l’Amministrazione fiscale indiana, conscia della legittimità nell’esercizio della propria pretesa tributaria nei confronti del Contribuente estero.
La controversia affonda le sue radici, nello specifico, nella stipulazione tra la società inglese e la società indiana, di due contratti, rispettivamente:
- un contratto (“Race Promotion Contract”, in sigla “RPC”) per mezzo del quale è attribuito il diritto alla società indiana di ospitare, mettere in scena e promuovere il “Gran Premio di Formula 1” dell’India per un corrispettivo di 40 milioni di dollari USA e;
- un contratto (“Artworks License Agreement”, in sigla “ALA”), per mezzo del quale, invece, è consentito alla società indiana di utilizzare marchi e proprietà intellettuale appartenenti alla società inglese per un corrispettivo simbolico di un dollaro statunitense.
Nel concreto, ai fini di un miglior inquadramento del contesto, la società indiana ha ottenuto, per mezzo di due differenti accordi, la possibilità di rendere il territorio domestico una tappa del celeberrimo evento sportivo competitivo succitato. Evento sportivo che, concretamente, è gestito ed appartiene, sotto il profilo dei diritti commerciali e della nomina dei soggetti partecipanti, alla società di diritto inglese che, per mezzo di appositi contratti di concessione, diffonde il proprio marchio ed operato su scala globale.
Tornando al caso giurisprudenziale, i quesiti sottoposti all’attenzione della Suprema Corte Indiana riguardano:
- se il circuito, sito nel territorio indiano, tappa del torneo, sia qualificabile o meno come stabile organizzazione (da ora in poi “O.”) della società inglese e;
- se il reddito prodotto nel territorio indiano per mezzo della ipotetica stabile organizzazione sia ascrivibile alla categoria delle royalties o dei business profits (nell‘ordinamento italiano “reddito di impresa”).
L’autorità decidente, pertanto, risulta chiama a decidere applicando lo specifico dettato internazionale contenuto negli artt. 5, par. 1 e 4, e 13, par. 3, della Convezione contro le Doppie Imposizioni stipulata tra il Regno Unito e l’India nel 1993 (da ora in poi “Convenzione”), fonti di riferimento per la risoluzione della controversia.
Nel corso del presente contributo, si disaminerà la prima questione (1) riguardante, in termini generali, l’annoso tema della corretta identificazione delle stabili organizzazioni ai fini di una equa allocazione dei profitti.
- La risoluzione della Corte in materia di stabile organizzazione
La società inglese, per difendersi dalla ipotetica qualificazione del circuito indiano come propria branch, afferma che, all’interno del RCP, ossia il contratto tramite cui sono è concesso alla società indiana il diritto di ospitare e condurre la gara, non sia stata prevista esplicitamente la presenza, nel territorio estero, di un “luogo fisso di affari” (cd. “fixed place of business”) a completa disposizione dell’ente straniero. Questo aspetto, a detta del Contribuente inglese, ostacolerebbe la presenza di una stabile organizzazione sia materiale che personale, non essendo al contempo presente neanche un agente dipendente.
Risulta ora necessario rimembrare l’originale dispositivo dell’art. 5, par. 1, della Convenzione, di centrale importanza per la risoluzione della controversia: “For the purposes of this Convention, the term “permanent establishment” means a fixed place of business through which the business of an enterprise is wholly or partly carried on”. La concezione di “luogo fisso di affari” è fortemente mutata nel corso del tempo con il progredire della tecnologia e delle modalità di “fare impresa”. Nel caso in esame, a detta della società inglese, la mancanza di una previsione contrattuale specifica avente ad oggetto la completa disponibilità di un luogo a favore di una o dell’altra parte per l’esercizio della propria attività di impresa, non rispetterebbe la formale definizione di stabile organizzazione. Tale iter logico pecca, tuttavia, nella mancata considerazione delle cd. “stabili organizzazioni occulte”, per la cui individuazione è necessario guardare ben oltre i termini contrattuali, applicando il principio della “prevalenza della sostanza sulla forma”, nel continuo rispetto dei requisiti richiesti dalla disciplina internazionale.
Tornando alla stretta disamina della causa, l’autorità fiscale indiana, opponendosi al Contribuente, pone in rilievo la possibilità, per la società inglese, di accedere al circuito nei seguenti periodi: durante lo svolgimento della gara, 14 giorni prima e 7 giorni dopo l’inizio e la fine della stessa. Da ciò deriva, di conseguenza, la possibilità, per la società inglese, di accedere e controllare completamente il circuito di proprietà della società indiana, disponendone sulla base del proprio interesse.
Il periodo temporale citato corrisponde alla durata del Gran Premio, ossia, tre settimane annuali, unite ai periodi precedenti e successivi all’evento stesso, durante i quali, si ricorda, il personale della società inglese ha completo diritto di accesso alla struttura.
Ulteriore elemento preso in considerazione dalla Corte, riguarda gli effettivi rapporti intercorrenti tra i due soggetti legati contrattualmente. In sintesi, l’attenta disamina dei fatti e, nello specifico, del rapporto contrattuale, pone in evidenza che la società indiana sia un mero “promotore” dell’evento e, pertanto, non sia titolare economica e, soprattutto, gestore dello stesso.
La Corte giunge, così, alla conclusione che, durante il periodo di svolgimento del Gran Premio di Formula 1 in India, la società inglese “run his business” sulla base di una struttura domestica corrispondente al circuito utilizzato per gareggiare.
L’indipendenza della società indiana risulta essere, pertanto, estremamente ridotta considerando che, durante il periodo di svolgimento della gara:
- deve essere dato completo accesso e consentita la massima operatività a tutti i soggetti legati contrattualmente con la società inglese e;
- la società inglese organizza e controlla sotto ogni aspetto l’evento.
Il cd. “right to use test” può dirsi soddisfatto ampiamente in forza della suesposta ridotta libertà di azione della società indiana.
Ultimo ma non meno importante test da effettuare riguarda il periodo di tempo massimo in cui il Contribuente estero ha diritto, in forza dei vincoli contrattuali, ad accedere al circuito. Da una attenta analisi del contratto RCP si desume che l’accesso si possa estendere fino ad un massimo di sei settimane annuali durante il periodo di svolgimento della tappa del torneo (“up-to six weeks at a time during the F1 Championship season”), periodo di tempo di idonea capienza ai fini del soddisfacimento del suddetto test.
In conclusione, la Corte afferma che la società inglese ricopre un ruolo centrale nello sviluppo dell’evento all’interno del territorio indiano, realizzando un vero e proprio business durante i periodi caratterizzanti tale tappa della competizione agonistica.
Tutti gli elementi rassegnati, considerati congiuntamente, orientano la Corte nel qualificare il circuito di Formula 1 come una stabile organizzazione della società inglese, ex art. 5, par 1, della Convenzione, la quale, pertanto, svolge i suoi affari all’interno del territorio estero per mezzo della società indiana.
Rifiutata, invece, la presenza di un agente dipendente dalla stessa società inglese, non essendone integrati i requisiti richiesti dalla disciplina.
- Conclusioni
Il caso giurisprudenziale commentato permette di comprendere che, il concetto di stabile organizzazione materiale, non si soffermi alle classiche strutture (quali uffici) protagoniste di gran parte delle controversie in materia.
Lo studio di casi concreti pone in evidenza con ancor più forza e certezza che la cd. “positive list”, ossia una elencazione non tassativa di cosa sia incluso nella definizione di stabile organizzazione”, enunciata all’interno dell’art. 5 par. 2 del Modello di Convenzione OECD contro le Doppie Imposizioni, sia caratterizzata da residualità, non essendo possibile racchiudere in un unico elenco tutte le possibili strutture con cui un’impresa può insediarsi all’estero e ivi produrre reddito.
In altri termini, una elencazione “aperta” funge da massima garanzia per le tutele impositive degli Stati, potendovi ricondurre all’interno sempre più fattispecie senza dover sottostare a criteri eccessivamente rigidi.
Tale elencazione, tuttavia, deve perfettamente bilanciarsi con il suo “alter ego”, ossia la cd. “negative list”, ossia una classificazione non tassativa di cosa non sia incluso nella definizione di stabile organizzazione, al fine di non ledere il generale principio della proporzionalità che deve permeare ogni misura di carattere fiscale.
(A cura di Rocco Pietro Di Vizio)
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