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Il mito della crescita economica: tra crisi demografica e pensionistica

Gli economisti, da sempre, si interrogano e dibattono su come incrementare il livello di benessere, e dunque la crescita economica, di un Paese.
In economia riveste grande importanza la “teoria quantitativa della moneta”. La teoria quantitativa della moneta, anche conosciuta come equazione di Fisher, stabilisce la relazione vigente tra la quantità di moneta, presente nel sistema economico, e il livello medio dei prezzi di beni e servizi.
Analiticamente:
MV=PY
In cui:
M= Ammontare di liquidità presente nel sistema economico;
V= Velocità di circolazione della moneta;
P= Livello medio dei prezzi di beni e servizi nell’economia;
Y= Reddito prodotto nell’economia.
Assumendo V costante, e dunque tralasciandolo dall’equazione sopra citata, notiamo come un aumento della quantità di moneta (M) avrà ripercussioni sul livello medio dei prezzi (P) e/o sul reddito prodotto dall’economia (Y).
Da questa equazione, che ben rimarca il ruolo chiave delle politiche monetarie nella gestione della politica economica di un Paese, si comprende come un aumento della quantità di moneta (M), a Pil costante, ovvero senza un ulteriore aumento della produzione, comporterà esclusivamente un incremento nel livello medio dei prezzi di beni e servizi.
Aumentare la quantità di moneta nel sistema, ovvero perseguendo politiche economiche definite “helicopter money”, se non accompagnate da una graduale crescita della produzione, causerà esclusivamente un incremento nel livello generale dei prezzi di beni e servizi.
Isolando Y e P possiamo, facilmente, derivare la seguenti equazioni:
Y = M / P
P = M / Y
La seconda equazione sottolinea, essenzialmente, come un aumento della quantità di moneta nel sistema economico, a parità di produzione, causerà inevitabilmente un incremento nel tasso d’inflazione.
La maggiore liquidità a disposizione degli agenti economici, infatti, provocherà un eccesso di domanda per beni e servizi e le imprese, qualora non aumentassero la produzione, neutralizzeranno tali effetti incrementando il livello dei prezzi per i suddetti prodotti.
Analogamente la prima equazione rimarca come il prodotto, ovvero l’output aggregato dell’economia, dipenda direttamente dall’ammontare di liquidità presente nel sistema e, inversamente, dal livello medio dei prezzi.
Intuitivamente la quantità di output prodotta da un sistema economico, mantenendo inalterato il livello medio dei prezzi, dipenderà ovviamente dalla domanda aggregata da parte dei consumatori e degli agenti economici.
Un incremento nella quantità di moneta, verosimilmente, innescherà un aumento nella domanda aggregata per beni e servizi, con uno stimolo consistente alla produzione aggregata.
In economia è importante, sia a livello teorico oltre che empirico, definire la funzione di produzione:
Y = f (K,L)
In cui:
Y = Livello di produzione (output) totale;
K = Capitale presente nell’economia (Macchinari, attrezzature, impianti, ecc.);
L = Forza lavoro (occupati).
Il reddito, ovvero la produzione nazionale (Pil), è dunque funzione del capitale e del lavoro a presenti nell’economa. A parità di lavoro offerto, ovvero di occupazione totale, il sistema economico riuscirà a crescere, e progredire, solo implementando ed adottando tecnologie più efficienti e produttive che permettano, essenzialmente, di produrre lo stesso ammontare di beni e servizi (output) impiegando, però, minori quantità di fattori di produzione (input).
La letteratura economica, inoltre, parla di produttività marginale del lavoro, ovvero della quota di prodotto realizzato per unità di lavoro aggiuntiva. A parità di macchinari e impianti di produzione, infatti, aumentando la quantità di lavoro, ed impiegati, il sistema economico, qualora non fosse in grado di innovare e migliorare, opererà lungo rendimenti marginali decrescenti.

Un’impresa, ad esempio, che impiega dieci dipendenti nella sua attività economica, qualora aumentasse l’occupazione, senza però incrementare la capacità produttiva, ovvero macchinari e impianti fisici funzionali alla produzione, opererebbe in regime di rendimenti marginali decrescenti.
Per favorire, ed incentivare, la crescita economica un’impresa, e contestualmente un Paese, deve incrementare sia il numero di possibili occupati, investendo, contestualmente, in tecnologie produttive che permettano di incrementare la produzione a ritmi crescenti.
Affinché, però, un Paese possa crescere economicamente è cruciale analizzare il funzionamento del mercato del lavoro, prestando grande attenzione anche alle dinamiche demografiche del Paese.
Il mercato del lavoro, come tutti i mercati di un’economia, si fonda sull’intrinseca interazione tra la legge di domanda e offerta. Le imprese, ovviamente, domanderanno lavoro il quale verrà loro offerto, per un dato salario, dai lavoratori.
Un’economia, dunque, riesce a crescere, mantenendosi sana e prospera, se disporrà di un mercato del lavoro efficiente e in salute, seguito, contestualmente, da un ricambio organico a livello demografico.
I lavoratori, una volta maturati i requisiti pensionistici, dovranno essere rimpiazzati da nuova forza lavoro, che entrerà attivamente nell’economia producendo output e generando ricchezza.
Qualora, però, assistessimo ad una crisi demografica, fenomeno particolarmente diffuso nelle economie sviluppate occidentali, per mantenere lo stesso livello di ricchezza e benessere, l’economia dovrà sperimentare, ed adottare, nuove tecnologie e impianti di produzione più efficienti, che le permettano, dunque, di ottenere, disponendo di minor forza lavoro, dello stesso ammontare di beni e servizi realizzati in passato.
Anche a livello previdenziale, infatti, un calo delle nascite, legato ad una crisi demografica, comporterà gravi squilibri finanziari nella gestione, e nel bilancio, degli istituti previdenziali che, per provvedere al regolare funzionamento della complessa macchina previdenziale, dovranno richiedere al Ministero dell’Economia e al Governo di colmare, tramite inasprimento della pressione fiscale o ricorso al debito pubblico, il deficit finanziario maturato, dal momento che i contributi lavorativi riscossi non risulteranno sufficienti ad erogare le prestazioni pensionistiche maturate.
I principali istituti previdenziali, infatti, elargiscono prestazioni sociali e previdenziali sulla base di un regime finanziario definito a “ripartizione” e non a “capitalizzazione”. Nel sistema a capitalizzazione, dunque, i contributi sociali, versati dai lavoratori agli istituti previdenziali, vengono accantonati e, una volta maggiorati dagli interessi, restituiti ai lavoratori al termine della loro carriera lavorativa.
Il sistema a ripartizione, invece, prevede che i contributi sociali vengano impiegati per erogare le pensioni, e le prestazioni sociali, della popolazione non in età lavorativa, ovvero di tutti coloro che hanno maturato i requisiti necessari per godere dell’assegno e della suddetta prestazione finanziaria.
L’Istat, nel 2023, ha rilevato un tasso di fertilità in Italia pari a 1.2 ovvero, in media, 1.2 figli per donna in età fertile (15-49 anni).
Demograficamente parlando l’Italia, nel 2024, ha ottenuto i seguenti risultati:
1. Il 24% della popolazione ha più di 65 anni d’età;
2. Indice di dipendenza strutturale: dato dal rapporto tra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e più di 65 anni) e popolazione attiva (15-64 anni) moltiplicato per 100, è pari al 57.5%;
3. Indice di dipendenza degli anziani: Questo indice misura quanti ultra 64enni ci sono ogni 100 adulti in età lavorativa (15-64 anni), pari al 38.3%;
4. Indice di vecchiaia: rapporto tra la popolazione avente più di 65 anni e la popolazione di età 0-14 anni, moltiplicato per 100, pari a 199.8.
L’indice di dipendenza strutturale, come anche l’indice di dipendenza degli anziani, sottolineano il carico sociale, oltre che economico, della popolazione anziana che grava su quella in età lavorativa. Notiamo, da questi dati, come vi siano circa 39 persone over 65 su 100 persone in età lavorativa (15-64 anni), e ben 58 persone (giovani tra 0-14 anni e over 65) che, pur non contribuendo attivamente alla produzione del reddito nazionale, necessitano di essere mantenute e sostenute dalla forza lavoro presente nell’economia.
Comprendiamo bene, dalla semplice lettura di questi dati, come si assista, in Italia, ad un forte squilibrio generazionale in cui la forza lavoro, ovvero la popolazione in età lavorativa, affinché possa sostenere la spesa pubblica nazionale, e il livello di benessere per le persone che hanno maturato il diritto all’assegno previdenziale, sarà soggetta ad una tassazione inevitabilmente crescente ed elevata.
La forte crisi demografica, unita agli squilibri generazionali, minano la crescita economica del Paese e le prospettive future di sviluppo e progresso.
Una regolare, e controllata, immigrazione, ad esempio, permetterebbe al Paese di incrementare il suo tasso medio di fertilità, favorendo il ricambio generazionale in un Paese, come l’Italia, sempre più anziano che necessita di ingenti spese, soprattutto in ambito previdenziale e sanitario.

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