Diritto

Il processo di ratifica della Convenzione Bilaterale contro le doppie imposizioni stipulata tra la Repubblica di San Marino e la Repubblica Italiana

di Mauro Merola

L’8 luglio 2013 – alle ore 18,55 – il Senato della Repubblica Italiana ha posto la parola fine al lungo e tormentato processo di ratifica dell’Accordo contro le doppie imposizioni stipulata tra la Repubblica di San Marino e la Repubblica Italiana.

Ci sono voluti, infatti, più di 11 anni per giungere alla definizione dei rapporti in tema di doppia tassazione tra i due Paesi se si considera che l’Accordo era stato firmato già nel lontano 2002[1].

I rapporti tra i due Paesi sono sempre stati molto rilevanti: già nel 1862 i due Stati conclusero un accordo di amicizia e cooperazione poi consolidatosi con la Convenzione di amicizia e buon vicinato del 1939. Infatti, se l’Italia può essere considerato il principale partner commerciale e finanziario sammarinese, l’economia sammarinese, a sua volta, ha una fortissima incidenza in un settore strategico quale quello bancario che  attualmente rappresenta una quota importante del PIL italiano (intorno al 15% del totale).

Per quanto detto sopra, le relazioni commerciali tra i due Paesi appaiono assai consolidate. Nel passato, tuttavia, sono emerse forti tensioni dovute al contenzioso fiscale ed all’adozione, da parte italiana, di misure volte a contrastare l’evasione fiscale ed il riciclaggio. A tale riguardo, San Marino (i.e., la Repubblica del Titano) ha adottato negli ultimi anni una politica volta a garantire una maggiore trasparenza, fissando l’obiettivo di cancellare il segreto bancario e concludendo alcuni accordi internazionali per lo scambio di informazioni in materia fiscale.

Nel 2009, infatti, l’OCSE aveva inserito lo Stato di San Marino nella “lista bianca” dei paradisi fiscali ma, nel gennaio 2011, la medesima Organizzazione aveva riscontrato che lo stesso Paese non si era ancora pienamente adeguato agli standard internazionali sullo scambio di informazioni.

In base alle perplessità manifestate dall’Italia e dallo stesso OCSE, è stato definito – a Roma il 13 giugno 2012 – un Protocollo aggiuntivo[2], che ha delineato le modifiche alla precedente intesa del 2002, nel rispetto del modello OCSE 2005 e dunque aggiornandola agli standard internazionali, con particolare riferimento allo scambio di informazioni. La recente ratifica del suddetto Protocollo, unitamente all’accordo firmato nel lontano 2002, hanno finalmente attestato la volontà dello Stato di San Marino di superare le resistenze che, in passato, si erano manifestate nei confronti di una politica di trasparenza fiscale e dei principi internazionali affermati dal modello OCSE.

Si ipotizza che, nel breve futuro, il nuovo approccio della politica fiscale sammarinese dovrebbe determinare l’esclusione di San Marino dalla lista dei Paesi “Black-list” e, conseguentemente, favorire la sua piena integrazione economica e fiscale tra i Paesi dell’OCSE.

Il Trattato contro le doppie imposizioni – firmato il 21 marzo 2002, ma mai ratificato – si uniformava ai principi convenzionali in tema di  doppia imposizione e di scambio di informazioni affermati dall’OCSE.

Il Protocollo definito nel 2012, mantenendo lo schema generale del 2002, ha introdotto alcune importanti novità in tema di tassazione dei dividendi, degli interessi, dei canoni (i.e., royalties) e di scambio di informazioni.

In particolare, l’articolo I del Protocollo aggiuntivo ha modificato e sostituito l’articolo 10 della Convenzione originaria in materia di dividendi (con tale termine si indicano non solo i redditi derivanti da azioni, ma anche i redditi percepiti dai titolari di quote sociali fiscalmente assimilabili alle azioni); il nuovo testo è caratterizzato dalla previsione della tassazione definitiva nel Paese di residenza del beneficiario e della concorrente facoltà, accordata allo Stato da cui essi provengono, di prelevare un’imposta alla fonte entro limiti espressamente previsti. Nello specifico, è stato disposto un regime di esenzione per i dividendi, se l’effettivo beneficiario risulti essere una società diversa da una società di persone che abbia detenuto almeno il 10 per cento del capitale della società che provvede alla distribuzione dei dividendi per un periodo di almeno 12 mesi antecedente alla data della delibera di distribuzione dei dividendi; negli altri casi è stata stabilita un’aliquota convenzionale del  15%.

L’articolo II dello stesso Protocollo, invece, ha modificato e sostituito l’articolo 11 della Convenzione originaria in materia di interessi, promuovendo il principio di tassazione esclusiva nel Paese di residenza. A riguardo, qualora si voglia optare per la facoltà della tassazione alla Fonte, viene stabilita la possibilità di beneficiare di un’aliquota pari allo 0% calcolata sull’ammontare lordo degli interessi, a condizione che l’effettivo beneficiario sia una società diversa da una società di persone che abbia detenuto almeno il 25% del capitale della società che provvede al pagamento degli interessi per un periodo di almeno 12 mesi antecedente alla data di pagamento degli interessi; negli altri casi viene disposta un’aliquota convenzionale del 13%.

L’articolo III del Protocollo ha rivoluzionato l’articolo 12 della Convenzione originaria, in materia di canoni, prevedendo in generale la tassazione nello Stato di residenza del beneficiario. Nello specifico, la nuova norma ripropone lo schema generale applicato sia ai dividendi che agli interessi: infatti, è prevista una tassazione facoltativa alla fonte pari allo 0% dell’ammontare lordo dei canoni a condizione che l’effettivo beneficiario sia una società diversa da una società di persone che abbia detenuto almeno il 25% del capitale della società che provvede al versamento dei canoni per un periodo di almeno 12 mesi antecedente alla data di pagamento dei canoni; negli altri casi l’aliquota convenzionale corrisponderà al 10%.

Le modifiche apportate dal Protocollo aggiuntivo della Convenzione del 2002 di cui sopra, hanno incontrato delle forti resistenze da parte di alcuni gruppi parlamentari in quanto ritenute in grado di causare un eventuale azzeramento dell’imposizione, a causa di un utilizzo improprio dei regimi convenzionali (i.e., Treaty shopping).

I dubbi nascono dal fatto che molti gruppi societari potrebbero favorire concentrazioni di partecipazioni azionarie in società sammarinesi esclusivamente per beneficiare del regime di esenzione dalla tassazione alla fonte relativamente ai dividendi, agli interessi ed ai canoni.

Tuttavia, al momento della discussione in Senato, le suindicate resistenze sono state superate dal fatto che il Governo Italiano si sia impegnato, con un ordine del giorno specifico, a prevedere il monitoraggio del traffico di capitali fra Italia e San Marino nonché delle società costituite o che saranno costituite, percipienti utili o dividendi o canoni o interessi di origine italiana.

In realtà, il vero strumento di contrasto per i fenomeni di elusione ed evasione fiscale è già presente nello stesso Protocollo e, più specificatamente, agli artt. IV e V: infatti, il nuovo testo ha disposto la modifica dell’art. 26 della Convenzione originaria, dando piena attuazione al principio dello scambio di informazioni tra i due Paesi ed all’abolizione, di fatto, del segreto bancario.

La nuova formulazione, in sostanza, mira a rendere più penetrante l’azione di raccolta delle informazioni in campo fiscale, prevedendo che lo Stato contraente oggetto di una richiesta utilizzi i poteri a sua disposizione anche qualora le informazioni in questione non siano rilevanti per i propri fini fiscali interni, e si esplicita in modo tale che questa ultima eventualità non possa essere invocata per rifiutare di fornire quelle informazioni. In particolare, poi, la nuova formulazione riduce la portata del cosiddetto segreto bancario, stabilendo che lo Stato richiesto non potrà rifiutare di fornire le informazioni con la sola motivazione che esse siano detenute da una banca, da un’istituzione finanziaria o da un mandatario operante in qualità di agente o fiduciario.

Se non bastasse, la nuova disciplina subordina l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 10, 11 e 12 della Convenzione all’effettiva attuazione dello scambio di informazioni e introduce, a favore di ciascuno Stato contraente, la facoltà di sospendere l’applicazione delle disposizioni convenzionali in materia di dividendi, interessi e canoni qualora si ritenga non adeguatamente applicato lo stesso articolo 26.

In futuro, anche se emergessero nuove perplessità e dubbi a seguito della ratifica del Trattato sulle doppie imposizioni stipulato tra Italia e San Marino, è opportuno apprezzare lo sforzo e l’impegno dei due Paesi di aver trovato, dopo 11 anni, un’intesa indirizzata a rafforzare una politica di trasparenza fiscale in applicazione dei principi internazionali dell’OCSE.

 Non bisogna dimenticare che l’Italia ha già firmato e ratificato, in passato, alcuni accordi che hanno destato e continuano a suscitare perplessità in quanto caratterizzati da disposizioni che prevedono la concessione di esenzioni fiscali e/o abbattimenti d’imposta attraverso il meccanismo del credito d’imposta “figurativo”; un caso emblematico è rappresentato dalla Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia ed il Brasile.

 Detto accordo si caratterizza perché prevede contemporaneamente:

  1. l’applicazione di un regime di esenzione relativa dei dividendi nel Paese di residenza (i.e., Italia), in quanto limitato alla sola ipotesi che la società beneficiaria abbia una percentuale di controllo superiore al 25% del capitale della società del Paese della fonte; e
  2. il riconoscimento di un credito d’imposta “figurativo” pari al 25% dell’ammontare lordo degli stessi dividendi di fonte brasiliana, utilizzabile ai fini dell’abbattimento delle imposte sul reddito d’impresa; detto meccanismo, rispetto a quello dell’esenzione dei dividendi, è esteso anche agli interessi e le royalties.

Premesso quanto sopra riportato, relativamente alla Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia ed il Brasile, si è ritenuto che le perplessità manifestate siano superate dalla ratio stessa degli istituti (i.e., esenzione e credito d’imposta “figurativo”) diretti a favorire gli investimenti da parte dei Paesi maggiormente industrializzati attraverso un programma di incentivi fiscali in grado di bilanciare l’effettiva o solo virtuale tassazione alla fonte.


[1] Cfr. Convenzione tra Repubblica di San Marino e la Repubblica Italiana per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali, firmata a Roma il 21 marzo 2002.

[2] Cfr. Protocollo di modifica della Convenzione tra Repubblica di San Marino e la Repubblica Italiana per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi fiscali, firmato a Roma il 13 giugno 2012.