L’IVA e le frodi negli scambi intracomunitari
(di Pietro Pavone)
L’IVA si contrappone in maniera radicale a quello che era il disegno della imposta che l’aveva preceduta.
L’imposta su cui si è fondata l’imposizione indiretta sui consumi nel nostro sistema tributario per oltre tre decenni è stata l’imposta generale sulle entrate (IGE).
L’IGE aveva una doppia faccia: in effetti, pur essendo un’imposta proporzionale ad aliquote differenziate e generalmente basse (l’aliquota ordinaria era del 4 %) colpiva il bene o il servizio in ogni fase del processo produttivo o distributivo e gravava sull’intero valore che la merce assumeva in ogni passaggio (produttore – grossista, grossista – dettagliante, ecc.).
Pertanto, aveva effetti cumulativi dal momento che colpiva in ogni fase del ciclo l’intero ammontare dell’entrata (prezzo, spese di trasporto, di imballaggio, tasse, ecc.), incluso l’importo del tributo pagato in tutti i passaggi precedenti.
L’imposta così congegnata produceva vantaggi e svantaggi:
- forniva all’Erario un gettito elevato, ma con aliquote moderate;
- il metodo di calcolo era semplice (per il contribuente che lo applicava ma anche in vista dell’accertamento da parte del Fisco);
- induceva le imprese a limitare al massimo il numero di passaggi, cercando di includere all’interno della loro organizzazione la quasi totalità dei passaggi produttivi, a favore della competitività dei loro prodotti;
- allo stesso tempo, però, impediva alle piccole imprese (quelle che non potevano permettersi di gestire al loro interno varie fasi del ciclo) di essere competitive;
- non era neutra, con evidente danneggiamento del consumatore;
- non era trasparente (non era possibile stabilire il numero dei passaggi del bene) non consentendo di sapere quanta imposta fosse inclusa nel prezzo finale.
Evidentemente, visti gli inconvenienti di un’imposta così strutturata, si arrivò all’abrogazione dell’IGE.
Con la riforma fiscale degli anni ‘70 nasce l’Imposta sul Valore Aggiunto.
L’IVA è un’imposta indiretta neutrale (in quanto grava sul consumatore finale nella stessa misura, indipendentemente dal numero di passaggi che intervengono lungo il processo produttivo/distributivo o di commercializzazione) e non ha effetti cumulativi (non ha effetti “a cascata”, nel senso che non ricade su se stessa) e quindi è calcolata solo sul valore aggiunto che man mano si crea nei vari passaggi (ed è questo il più grande pregio dell’ IVA).
La disciplina dell’IVA è strutturata in modo tale che lo scambio di beni all’interno della Comunità tra soggetti d’imposta sia esente nello Stato membro d’origine dei beni e sia invece soggetto a tassazione nello Stato membro di destinazione.
Questo meccanismo dell’esenzione espone il sistema dell’IVA alla frode e in particolare a quella tipologia di frode intracomunitaria che va sotto il nome di “frode carosello”.
Tutto si concentra intorno al principio della detrazione.
La neutralità dell’IVA è assicurata tramite il meccanismo della detrazione, particolare situazione soggettiva non presente in alcuna altra imposta che segna appunto la differenza tra una imposta cumulativa (l’IGE) e una imposta plurifase sul valore aggiunto (l’IVA).
Prima del ‘97 la detrazione era riconosciuta sulla base dell’inerenza dell’acquisto. C’era un giudizio immediato (si verificava se il bene rientrasse o meno nel contesto dell’attività dell’impresa).
Dopo quella data si impone un giudizio di prospettiva, a posteriori sull’inerenza dell’acquisto; ciononostante l’operatore economico è nelle condizioni di esercitare immediatamente il diritto di detrazione (all’atto dell’acquisto).
Esiste, dunque, un elemento di provvisorietà della detrazione che è applicata subito (principio dell’immediatezza della detrazione), salvo riconoscimento a posteriori dell’amministrazione finanziaria.
Questa forbice temporale della detrazione è campo fertile per eventuali intenti di frode.
La frode carosello si snoda proprio sull’abusivo diritto di detrazione.
Poiché questi tipi di frode sono strutturati in modo piuttosto complesso e coinvolgono diversi Stati membri e varie società in ciascuno Stato membro, si rende necessario che gli strumenti comunitari di cooperazione amministrativa siano efficaci e che i sistemi di controllo nazionali siano adeguati rispetto a tali problematiche.
L’efficienza del contrasto alle frodi deve essere raggiunta a livello nazionale ed estendersi oltre i confini di ogni Stato membro attraverso gli strumenti della cooperazione.
Tra gli illeciti che hanno maggiormente inciso sul bilancio pubblico primeggia quello comunemente noto come “frode carosello”, espressione legata alla naturale propensione della struttura stessa dell’illecito, tesa ad originare andamenti ciclici di operazioni “truffaldine” attraverso il commercio di beni, di massima ad alto costo unitario e facilmente trasportabili
(in specie, i settori maggiormente interessati sono quelli dell’alta tecnologia, come computers, componenti per prodotti informatici, telefoni cellulari, del commercio delle carni fresche e degli animali vivi, oltre che quello delle autovetture).
Non esiste una definizione precisa di quelle che vengono giornalisticamente definite frodi carosello, tuttavia ci si può rifare, per inquadrare il concetto, ad una definizione della Corte dei Conti europea che definisce la frode carosello come “una serie di operazioni commerciali riguardanti le stesse merci in un periodo relativamente breve che abusino delle caratteristiche del sistema di riscossione dell’ imposta sul valore aggiunto”.
Per comprendere la sostanza del problema si voglia partire da questa premessa: le norme europee sull’IVA stabiliscono che nelle cessioni intracomunitarie, il venditore emette la fattura ma senza applicare l’imposta (l’operazione non è imponibile).
L’acquirente, invece, deve integrare manualmente la fattura calcolando e applicando l’imposta, e registrandone l’importo sia a credito che a debito: dal suo punto di vista, dunque, l’operazione rimane neutrale, ma il bene acquistato è stato comunque “ivato” e quindi potrà circolare senza particolari complicazioni nei successivi passaggi commerciali.
Dal momento che il fenomeno è stato sempre molto diffuso nel settore automobilistico, supponiamo che il bene ceduto sia un’automobile, che il venditore A (francese) voglia vendere all’acquirente B (italiano) per 18.000 euro. Agendo regolarmente, B dovrebbe “ivare” il bene con l’aliquota – per ipotesi – del 20%, cioè a 3.600 euro.
Fra il cedente e il cessionario si frappone però, un terzo intermediario, C (italiano), in accordo con entrambi, o, talvolta, con uno solo di essi. Così, A vende a C l’automobile a 18.000 euro (senza IVA, poiché operazione non imponibile), e C la rivende poi a B per 21.600 euro Iva inclusa (18.000 + 3.600), essendo quest’ultima una cessione fra due operatori italiani.
Dopodiché, C scompare nel nulla: si tratta, in genere, di piccoli faccendieri che operano frodi in massa per qualche mese e fanno poi perdere le tracce.
I risultati sono evidenti: per A non ci sono sostanziali effetti, mentre B avrà sostenuto esattamente il costo previsto e potrà scaricarsi tranquillamente l’IVA sull’acquisto. E, soprattutto, i 3.600 euro di imposta resteranno per sempre nelle “tasche” di C.
L’effetto patologico di una frode carosello è – si intuisce – duplice:
- uno, più immediato, per il quale l’ Erario subisce una emorragia di gettito;
- uno per effetto del quale viene drogata la competitività del mercato: i prodotti diventano molto più appetibili dal punto di vista del prezzo perché lucrano sull’ IVA non pagata, per cui i produttori onesti risultano soccombenti perché non sono in grado – e non potrebbero esserlo – di praticare prezzi aggressivi come quelli che pratica l’operatore economico che si avvantaggia dell’IVA non pagata.