L'utilizzo dello scudo fiscale nell'ambito degli accertamenti sintetici
di Serena Galeazzi
L’accertamento induttivo del reddito delle persone fisiche si basa sul concetto che dal possesso di determinati beni si possa desumere un indice della capacità di spesa del soggetto che, tramite un meccanismo di calcolo (alquanto discusso), si trasforma nella quantificazione di redditi adeguati rispetto alla spesa sostenuta (tanto per l’acquisto quanto per il mantenimento dei beni).
Incombe sul contribuente l’onere di escludere la valenza reddituale delle sue “uscite” e di disattendere “il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva”.
Mentre l’incoerenza individuata dal Legislatore si basa sul mero confronto tra l’ammontare delle spese sostenute nel periodo d’imposta ed il reddito dichiarato nello stesso periodo, in sede di prova contraria, ai sensi dell’art. 38, comma 4 del D.P.R. 600/73, si potrà dimostrare che la capacità di spesa derivi tanto da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta quanto da redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile: l’obiettivo sembra essere quello di ricostruire la complessiva disponibilità reddituale e finanziaria del contribuente.
A tal fine, non può essere trascurata l’importanza assunta dalle risorse riconducibili al c.d. “scudo fiscale”, disciplinato dall’art. 13-bis del D.L. n. 78/2009, che ha consentito l’emersione delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero da soggetti residenti in Italia. A fronte del pagamento dell’imposta straordinaria dovuta per beneficiare dello scudo, la legge ha previsto, tra gli effetti premiali, e, per quanto qui di interesse, la preclusione da ogni accertamento tributario e contributivo per i periodi d’imposta ancora accertabili al momento dell’adesione allo scudo, limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività oggetto di emersione.
A fronte dell’orientamento restrittivo adottato dall’Amministrazione che, come si dirà in seguito, subordina l’opponibilità della dichiarazione riservata a una serie di condizioni, si moltiplicano le sentenze dei giudici di merito che, all’opposto, ritengono legittimo supporre che la maggiore disponibilità possa derivare da tali somme, con l’unico limite quantitativo del rapporto tra le stesse ed il maggior reddito accertato.
Nella circ. n. 43/E del 10 ottobre 2009, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che «limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme e altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio o regolarizzazione, è inibita l’attività di accertamento tributario e contributivo relativa ai periodi d’imposta che hanno termine al 31 dicembre 2008 … la preclusione opera automaticamente, senza necessità di prova specifica da parte del contribuente, in tutti i casi in cui sia possibile, anche astrattamente, ricondurre gli imponibili accertati alle somme o alle attività costituite all’estero oggetto di rimpatrio … l’effetto preclusivo … può essere opposto anche nei confronti di accertamenti di tipo sintetico». (La CTP di Bolzano, sent. n. 14/02/13, ha ritenuto la tesi dell’ufficio frutto di “un’interpretazione troppo restrittiva, non in linea con il tenore letterale della norma” e ha, pertanto, considerato opponibile lo scudo fiscale anche in caso di accertamenti da studi di settore o analitico-induttivi).
La successiva circ. n. 52/E dell’8 ottobre 2010 esclude tale astratta riconducibilità in tutti i casi in cui le attività dichiarate siano state detenute in epoca antecedente al periodo di controllo. Al contrario, la giurisprudenza di merito (pronunciatasi, evidentemente, in relazione ai “vecchi” accertamenti redditometrici) non ritiene necessarie dimostrazioni ulteriori da parte contribuente, posto che «in nessun articolo del DL 78/2009 e nemmeno del DL 350/2001 si trova una indicazione di un termine iniziale di presenza del deposito all’estero come presupposto della regolarizzazione e della preclusione …»; ed ancora «… l’agevolazione del c.d. scudo fiscale non era prova, con riferimento alle attività di un anno in particolare ma a tutte le attività precedenti il 31 dicembre 2008 …»; per concludere che «… non si può non ricordare che le circolari ministeriali sono indirizzi di prassi, ossia atti interni dell’amministrazione finanziaria … che non hanno e non possono mai avere valore di legge» (cfr. CTP di Rimini, sez. II, sent. n. 237 del 29 giugno 2011; CTR di Roma, sent. n. 55 del 27 febbraio 2012; CTR di Trieste, sent. n. 76 del 10 luglio 2012; CTP di Pordenone, sent. n. 41 del 28 maggio 2011).
E’ possibile individuare una doppia forma di “protezione” offerta dallo scudo. Se, infatti, per i periodi d’imposta fino al 2008, la protezione opera come vera e propria preclusione ex lege all’attività accertativa, lo stesso non può dirsi per i periodi successivi, in cui la stessa potrà esplicarsi sotto forma di prova contraria a dimostrazione della maggiore capacità contributiva derivante dalla disponibilità delle somme oggetto di emersione.
In questo secondo caso, però, al pari di tutte le prove contrarie a disposizione del contribuente, sarà sottoposta alle limitazioni imposte dagli Uffici; presumibilmente, infatti, non sarà sufficiente dare atto delle maggiori disponibilità, ma si dovrà dimostrare che proprio quelle risorse siano state utilizzate per sostenere l’acquisto o il mantenimento dei vari beni-indice individuati.
A ben vedere, solo nel caso di preclusione all’attività accertativa l’ufficio non dovrà effettuare alcun controllo circa la concreta riconducibilità degli imponibili accertati alle somme emerse; ci si troverà «di fronte a un vero e proprio automatismo, in base al quale alla valida adesione allo scudo fiscale conseguono gli effetti premiali, entro il limite dell’importo scudato» (cfr. G. Boccalatte, “Copertura automatica ad ampio raggio a favore dei contribuenti che hanno aderito allo scudo fiscale”, in Corr. Trib. n. 37 del 2012).
In sostanza, per i periodi d’imposta antecedenti il 2009 «non si tratta di vincere, con la presentazione dello scudo, una presunzione di maggior reddito scaturente da accertamento sintetico … ma semplicemente di riconoscere l’effetto preclusivo scaturente dall’intervenuta adesione allo scudo fiscale che non consente l’accertamento, indipendentemente da ogni presunzione di maggior reddito prodotto nel periodo anteriore e coperto dallo scudo» (cfr. CTP di Milano, sent. n. 261 del 5 dicembre 2012).
Un simile astratto collegamento non è rinvenibile nella seconda fattispecie a causa della mancata riproposizione, nelle circolari esplicative dello scudo fiscale ter, dell’indicazione (prevista, invece, per le versioni precedenti dello scudo) secondo la quale la “copertura da effetto preclusivo” opererebbe anche nell’ipotesi di contestazioni basate su elementi di capacità contributiva che si siano manifestati successivamente all’emersione delle attività detenute all’estero (Cfr. circ. A.E. n. 101/E del 2001).
In tal caso la dottrina ritiene che « … la preclusione degli accertamenti operi in maniera indiretta, nel senso che … le somme emerse non possono essere utilizzate successivamente all’entrata in vigore del D.L. n. 78/2009 come elementi su cui fondare accertamenti sintetici, in quanto non possono essere contestati, né come indici di un tenore di vita elevato, né come incrementi patrimoniali, ammontari che sono stati regolarizzati ex lege e che dunque il contribuente possiede, successivamente alla sanatoria, del tutto legittimamente» (A. Tomassini, “Non è necessaria l’immediata esibizione della dichiarazione riservata per beneficiare dello scudo fiscale” in GT-Rivista di giurisprudenza tributaria, n. 11 del 2012); il tutto, anche in considerazione della ratio della norma, finalizzata al rientro/regolarizzazione di capitali in modo da renderne possibile un successivo impiego nel nostro paese.
Posto che la preclusione opera «limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero ed oggetto di rimpatrio», il problema, in concreto, è individuare un qualsiasi tipo di collegamento tra la ricchezza accertata e ciò che è stato rimpatriato o regolarizzato. L’ufficio, ad avviso di autorevole dottrina, potrà rigettare l’opponibilità dello scudo in tutti i casi in cui «non è prospettabile alcun collegamento tra il fatto economico sul quale verte l’accertamento officioso e la disponibilità di attività finanziarie all’estero” (M. Beghin, “Scudo fiscale e preclusione del potere di accertamento»).
Venendo agli aspetti procedurali dell’opponibilità dello scudo, secondo le istruzioni fornite nella circ. n. 43/E del 10 ottobre 2009, l’A.E. ritiene non operante l’effetto preclusivo di cui sopra, in tutti i casi in cui il contribuente non comunichi la dichiarazione riservata in sede di inizio di accessi, ispezioni e verifiche ovvero entro i trenta giorni successivi alla notifica dell’avviso di accertamento, di rettifica o di un atto di contestazione, compresi gli inviti, i questionari e le richieste di cui all’art. 51, comma 2 del D.P.R. 633/72 ed all’art. 32 del D.P.R. 600/73.
La posizione non è assolutamente condivisa dalla giurisprudenza di merito secondo la quale «una decadenza può essere stabilita solamente da una norma di legge. Non essendo prevista alcuna decadenza all’opponibilità dello scudo fiscale, tale beneficio ben può essere invocato … in qualsiasi momento»; pertanto, «lo scudo fiscale è pienamente operante, ancorché l’interessato non abbia rispettato il termine de quo per comunicare all’Agenzia tale circostanza» (cfr. CTP di Massa Carrara, sent. n. 64 del 24 gennaio 2012).
Il contenzioso in merito al momento della “levata” dello scudo, dovrebbe essere superato con riferimento ai periodi d’imposta successivi al 2008 poiché, come detto, esso diventerà uno dei tanti strumenti di prova contraria a disposizione del contribuente, soggetto alla specifica disciplina per essi applicabile.
Sebbene i casi al momento noti di utilizzo dello scudo si riferiscano ad accertamenti redditometrici, non può escludersi una simile applicazione anche nell’ambito di accertamenti bancari, con l’unica differenza che le somme oggetto di rimpatrio non dovranno essere rapportate alla disponibilità di determinati beni-indice bensì a versamenti sui conti correnti.
Preme rimarcare che, in ogni caso, non incombe alcun obbligo circa l’utilizzo dello scudo; l’interesse protetto non è quello del Fisco, bensì quello del contribuente che potrà liberamente decidere se e quando presentare la dichiarazione riservata e rinunciare all’anonimato, secondo la medesima valutazione di opportunità che lo ha spinto ad aderire alla disciplina delineata dall’art. 13-bis del D.L. n. 78/2009.