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omesso versamento
(di Giulia Piva)
Il 22 ottobre scorso è definitivamente entrato in vigore il nuovo decreto legislativo n. 158/2015 che, in attuazione della delega fiscale, ha profondamente modificato il sistema penale tributario.
Nello specifico, la recente riforma ha rivisitato la disciplina dei reati tributari di cui al d.lgs. n. 74/2000, rimodellandone completamente l’impianto sanzionatorio, principalmente, attraverso la depenalizzazione di alcune condotte illecite e l’introduzione di nuove cause di non punibilità del reato.
Il legislatore delegato ha, infatti, notevolmente ridotto le pene e/o sostituito le sanzioni amministrative a quelle penali per le condotte più lievi, differenziandole nettamente dalle fattispecie di reato ritenute fraudolente – le cui conseguenze sanzionatorie sono state, in alcuni casi, anche aggravate -.
Tutte queste modifiche normative non solo entrano immediatamente in vigore, bensì diventano efficaci anche per il passato – ripercuotendosi, pertanto, anche sui numerosi procedimenti pendenti per i novellati reati di cui al d.lgs. n. 74/2000 -.
In particolare, l’intervenuto decreto ha modificato le soglie di non punibilità per i reati di omesso versamento di ritenute dovute o certificate e di omesso versamento IVA elevandole – rispettivamente – da Euro 50.000 ad Euro 150.000, nonché da Euro 50.000 ad Euro 250.000.
Per l’effetto, tali modifiche producono effetti dirompenti sia sui contribuenti che, avendo già subito un controllo, sono già stati segnalati all’Autorità competente, che su quelli con procedimenti penali (per reati di omesso versamento) già pendenti al 22 ottobre 2015.
È infatti ai sensi del principio di favor rei di cui all’art. 2 del C.p. che, in caso di successioni di leggi penali nel tempo, il giudice è tenuto ad applicare la normativa più favorevole al reo – ancorchè i relativi giudizi per i reati di omesso versamento di ritenute dovute o certificate e di omesso versamento IVA non siano ancora stati definiti con sentenza passata in giudicato -.
Di conseguenza, dovranno pertanto essere dichiarati assolti con la formula piena del “perché il fatto non sussiste”, tutti quei contribuenti con procedimenti tutt’ora pendenti per reati di omesso versamento – di cui agli artt. 10-bis e 10-ter d.lgs. n. 74/2000 – aventi ad oggetto somme inferiori alle nuove ed elevate soglie di non punibilità.
Nella specie – essendo le (precedenti) omissioni di cui agli artt. 10-bis e 10-ter d.lgs. n. 74/2000 inferiori alle riformate soglie penali – viene infatti a mancare l’elemento costituivo dei reati stessi.
In concreto, all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo d.lgs. n. 158/2015 circa 1/3 dei procedimenti pendenti per i reati di omesso versamento di ritenute e/o di Iva saranno definiti de plano con richiesta di archiviazione e/o con sentenza di proscioglimento – anziché di condanna -.
Tra le numerose novità introdotte dal recente decreto, vi è altresì l’innesto nell’art. 13 d.lgs. n. 74/2000 – di una causa di non punibilità (per il contribuente responsabile dei reati di omesso versamento e/o di indebita compensazione per crediti non spettanti) in caso di integrale pagamento del proprio debito tributario, comprensivo di sanzioni amministrative e relativi interessi.
Il riformato articolo precisa inoltre che – ai fini della non punibilità dei reati di cui agli art. 10-bis (omesso versamento di ritenute dovute o certificate), 10-ter (omesso versamento IVA) e 10-quater, comma 1, (compensazione di crediti non spettanti) D. Lgs. n. 74/2000, il contribuente dovrà provvedere all’integrale versamento dell’ammontare del proprio debito tributario – anche attraverso procedure conciliative o di adesione all’accertamento, ovvero, tramite ravvedimento operoso – entro, e non oltre, la dichiarazione di apertura del dibattimento.
Diversamente, prima delle modifiche introdotte dalla recente riforma, l’art 13 del decreto legislativo n. 74 del 2000 prevedeva unicamente la possibilità per gli autori di un qualsiasi delitto tributario di beneficiare della diminuzione di pena (fino ad un terzo) e della non applicazione delle pene accessorie a seguito dell’integrale soddisfacimento del proprio debito tributario entro l’apertura del dibattimento.
Ad oggi, invero, il pagamento del debito tributario da parte del contribuente comporterà la non punibilità del reato limitatamente ad alcune fattispecie criminose, ovvero, unicamente per i reati di omesso versamento e/o di indebita compensazione per crediti non spettanti.
È pacifico che tale modifica travolgerà anche i procedimenti penali pendenti per i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1 – permettendo così al contribuente di provvedere all’integrale pagamento del proprio debito alla prima udienza utile, indipendentemente dallo stato e grado del procedimento -.
In caso contrario, il nuovo d.lgs. n. 158/2015 violerebbe lapalissianamente il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della nostra Carta Costituzionale, in quanto – a fronte del pagamento di una medesima somma – non consentirebbe al contribuente con procedimenti penali ancora pendenti di rilevare la non punibilità per i reati di omesso versamento e di indebita compensazione per crediti non spettanti, nella stessa misura in cui potranno rilevarla coloro che commetteranno i (medesimi) fatti di reato all’indomani dell’intervenuta riforma.
Inoltre, il nuovo comma 3 del predetto art. 13, sempre relativamente ai reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, D. L.gs. n. 74/2000 prevede la possibilità di estinguere il proprio debito tributario anche a seguito della rateizzazione del pagamento dell’importo dovuto all’Erario, tramite la concessione da parte dell’Autorità Giudiziaria procedente di una proroga di tre mesi (a far data dalla dichiarazione di apertura del dibattimento) e di eventuali ulteriori tre mesi -.
Tale previsione si estende anche ai procedimenti penali tutt’ora in corso per i reati di omesso versamento e/o di indebita compensazione per crediti non spettanti, concedendo così ai contribuenti responsabili dei reati di cui sopra la facoltà di richiedere tale agevolazione alla prima udienza utile in ogni stato e grado del procedimento.
Ne consegue che il legislatore delegato, al fine di contrastare più efficacemente le frodi ed evasioni Iva, ha inteso differenziare nettamente le condotte fraudolente – e pertanto meritevoli di sanzioni penali – da quelle connotate da un minor grado di disvalore sociale e, così, punibili anche attraverso semplici sanzioni amministrative, creando così un sistema tributario differenziato sulla base della diversa gravità delle condotte delittuose.
Tuttavia, la nuova normativa tributaria ha paradossalmente agevolato gli autori di omesso versamento per somme “sopra-soglia”, rispetto a quelli responsabili dei medesimi reati per somme inferiori alle nuove ed elevate soglie di punibilità (e pertanto autori di meri illeciti amministrativi), in quanto – i primi – potranno provvedere all’integrale pagamento del proprio debito sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, mentre – i secondi – dovranno rispettare i termini più stringenti previsti dalla disciplina amministrativa.
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(di Andrea Orabona)
Con Sentenza n. 100 del 13 maggio 2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’infondatezza delle questioni di legittimità, sollevate con le Ordinanze della Corte d’Appello di Milano, del Tribunale di Verona e del Tribunale di Forlì, in ordine alla asserita incostituzionalità dell’art. 10-bis D. Lvo 74/2000 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento di ritenute certificate, dovute in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad Euro 103.291,38.
Infatti, la questione di legittimità costituzionale oggetto delle suddette Ordinanze si incentra sulla presunta violazione dell’art. 3 Cost. (principio di uguaglianza) da parte della norma penal-tributaria di cui all’art. 10-bis D. Lvo 74/2000.
Invero, in relazione ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, i Giudici remittenti evidenziano l’irragionevole ed ingiustificata disparità di trattamento sanzionarorio della fattispecie di omesso versamento delle ritenute certificate – sia rispetto ai più gravi delitti di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione (ex art. 4 e 5 D. Lvo 74/2000) sia rispetto alla fattispecie criminosa dell’omesso versamento dell’I.V.A. (ex art. 10-ter D Lvo 74/2000) – quale risultante a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale parziale della Corte Costituzionale con Sentenza n. 80 del 2014.
A tal riguardo, giova ricordare che, con quest’ultimo arresto, la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 Cost, dell’art. 10-ter del D. Lvo. 74/2000 nella parte in cui – con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011 – puniva l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad Euro 103.291,38.
In particolare – veniva primariamente ritenuta lesiva del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) – la previsione, all’interno dell’art. 10-ter D. Lvo 74/2000, di una soglia di punibilità (Euro 50.000,00) inferiore a quelle stabilite per i reati di dichiarazione infedele (art. 4 D. Lvo 74/2000) ed omessa dichiarazione (art. 5 D. Lvo 74/2000), prima delle modifiche introdotte dal D.L. 138/2011 convertito in L. 148/2011 – rispettivamente per Euro 103.291,38 ed Euro 77.468,53 -.
Ciò detto, con riferimento alla Sentenza in commento, i Giudici remittenti sostengono che si dovrebbe giungere alla medesima conclusione anche con riferimento al delitto di omesso versamento di ritenute certificate ex art. 10-bis D. Lvo 74/2000 trattandosi di fattispecie analoga a quella testé esaminata dell’omesso versamento I.V.A. ex art. 10-ter D. Lvo 74/2000 – già oggetto di dichiarazione di incostituzionalità per effetto della Sentenza n. 80/2014 -.
L’art. 10-bis D. Lvo 74/2000, dunque, violerebbe l’art. 3 Cost. sia nel raffronto con le soglie di punibilità previste dagli artt. 4 e 5 D. Lvo 74/2000 (omessa ed infedele dichiarazione) – prima della riforma apportata dal D.L. 138/2011 convertito in L. 148/2011 – sia in relazione all’analoga fattispecie criminosa dell’omesso versamento dell’I.V.A. ex art. 10-ter D. Lvo 74/2000 così come risultante a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla summenzionata Sentenza n. 80/2014.
Tuttavia, nella sentenza n. 100/2015 la Corte Costituzionale rileva le profonde diversità intercorrenti tra i reati di omesso versamento delle ritenute certificate ex art. 10-bis D. Lvo 74/2000 e di omesso versamento I.V.A. ex art. 10-ter D. Lvo 74/2000, tali da rendere la prevista disparità di trattamento sanzionatorio del tutto conforme al precetto costituzionale di uguaglianza sostanziale ex art. 3 Cost.
Invero, i Giudici Costituzionali sottolineano che – a differenza della disciplina in materia di I.V.A. – la dichiarazione di sostituto di imposta, nella quale devono essere indicati i compensi erogati ai sostituti e le relative ritenute operate, non integra – secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale – gli elementi costitutivi oggettivi delle fattispecie delittuose di omessa dichiarazione (art. 4 D. Lvo 74/2000) e dichiarazione infedele (art. 5 D. Lvo 74/2000) invocate come tertia comparationis.
Infatti, l’omessa o infedele dichiarazione del sostituto di imposta integra il solo illecito amministrativo di cui all’art. 2 D. Lvo 471/1997, non essendo quest’ultime condotte rilevanti sotto il profilo penale.
Inoltre, precisa la Corte, il reato di omesso versamento delle ritenute certificate ex art. 10-bis D. Lvo 74/2000 – diversamente da quanto accade per la fattispecie di omesso versamento I.V.A. – non richiede che le ritenute non versate risultino dalla dichiarazione fiscale del sostituto (rilevante ai soli fini della determinazione del termine di consumazione del reato) bensì che esse appaiano dalle sole e relative certificazioni rilasciate ai medesimi sostituti d’imposta.
Pertanto, il sostituto di imposta che omette di versare le ritenute certificate può essere imputato esclusivamente del delitto di cui all’art. 10-bis D. Lvo 74/2000 che, all’occorrenza, concorrerà con l’illecito amministrativo di omessa o infedele dichiarazione del medesimo sostituto allorquando quest’ultimo non abbia adempiuto ai propri obblighi dichiarativi.
Inoltre, le previsioni punitive di cui agli artt. 10-bis e 10-ter D. Lvo 74/2000 sottendono la riscossione di tributi profondamente differenti – le imposte sui redditi, nel primo caso, l’I.V.A nel secondo – rivolgendosi, altresì, a soggetti le cui posizioni tributarie non risultano in nessun caso equiparabili, ovvero, rispettivamente, il sostituto di imposta ed il contribuente.
Infatti, il sostituto di imposta viene incaricato di adempiere all’obbligazione tributaria in luogo del soggetto in capo al quale si realizza il presupposto impositivo; il contribuente è invece colui in capo al quale sorge la pretesa tributaria e pertanto il soggetto sui cui grava il peso finanziario dell’imposta.
Per le suesposte ragioni, la Corte Costituzionale con la Sentenza in commento n. 100/2015 ha dichiarato l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis D. Lvo 74/2000 sollevate dalla Corte d’Appello di Milano, dal Tribunale di Verona e dal Tribunale di Forlì, in relazione alla presunta violazione dell’art. 3 Cost..
In conclusione, le ipotesi di reato di omesso versamento delle ritenute certificate ex art. 10-bis D. Lvo 74/2000, per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore del D.L. 138/2011 convertito in L. 148/2011, ossia prima del 17 settembre 2011, continuano ad essere sottoposte alla soglia di punibilità di Euro 50.000,00 – a differenza delle ipotesi di reato di omessa versamento dell’I.V.A. che, per effetto della dichiarazione di incostituzionalità parziale di cui alla Sentenza 80/2014, per i fatti commessi entro lo stesso termine, rimangono soggette al superamento della maggiore soglia di Euro 103.291,38.
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(di Serena Giglio e Alessandro Blatti)
Capita spesso che i contribuenti per errore indichino in dichiarazione un ammontare di imposte inferiore a quello effettivamente dovuto, salvo poi “correggere il tiro” presentando la dichiarazione integrativa e versando la differenza dovuta.
Ebbene, di fronte a tale fattispecie, di regolae, l’Agenzia delle Entrate applica una doppia sanzione, e cioè sia quella per dichiarazione infedele (sanziona amministrativa che va dal cento al duecento per cento della maggior imposta o della differenza del credito ai sensi del comma 2 dell’art. 1 del D.lgs. n. 471/1997), che quella per ritardato versamento (sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato o versato in ritardo, ai sensi del comma 1, art. 13 del D.lgs. n. 471/1997). Tale prassi finisce per equiparare, paradossalmente, i contribuenti “virtuosi” – che pongono rimedio all’errore commesso (e che risultano puniti, come detto, con duplice sanzione e cioè quella per infedele dichiarazione e per ritardato versamento) – a quelli “inerti” (colpiti dal medesimo trattamento sanzionatorio ossia dalla sanzione per infedele dichiarazione e da quella per omesso versamento).
Il presente contributo si propone di affrontare tale tematica ed offrire possibili rimedi interpretativi che risultano, peraltro, già insiti nel nostro sistema fiscale.
In primis, si deve ricordare che, in tema di dichiarazione infedele, il comma 2 del sopracitato articolo 1 del D.lgs. n. 471/1997 dispone che: “Se nella dichiarazione è indicato, ai fini delle singole imposte, un reddito imponibile inferiore a quello accertato, o, comunque, un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della maggior imposta o della differenza del credito. La stessa sanzione si applica se nella dichiarazione sono esposte indebite detrazioni d’imposta ovvero indebite deduzioni dall’imponibile, anche se esse sono state attribuite in sede di ritenuta alla fonte”.
Inoltre, con riferimento ai casi di omesso versamento il comma 1 del suddetto art. 13 del D.lgs. n. 471/1997 prevede che: “Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al primo periodo, oltre a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, è ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo. Identica sanzione si applica nei casi di liquidazione della maggior imposta ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.
Pertanto, le due sopra richiamate norme disciplinano in maniera specifica un determinato comportamento di tipo omissivo posto in essere da parte del contribuente.
In particolare, la prima norma (i.e. ilcomma 2 dell’art. 1 del D.lgs. n. 471/1997) è volta a sanzionare quel soggetto che indichi in dichiarazione un minor reddito imponibile, una minore imposta o un maggior credito rispetto a quanto effettivamente spettante.
La seconda norma (i.e. il comma 1 dell’art. 13 del D.lgs. n. 471/1997) è, invece, volta a sanzionare colui che non esegue, in tutto o in parte, entro le prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione.
Di conseguenza, apparo chiaro che le suddette norme sono chiaramente chiamate a disciplinare due diverse situazioni.
Tuttavia, occorre rilevare che l’implicazione logica tra la violazione di infedele dichiarazione e quella di omesso (o ritardato) versamento deve essere interpretata nel senso che la prima, e cioè l’infedele dichiarazione – connotata da un disvalore maggiore rispetto alla violazione di omesso ovvero ritardato versamento – si pone in un rapporto di totale “assorbenza” rispetto alla seconda.
E, difatti, vale ricordare che la violazione dell’“infedele dichiarazione”, di cui all’art. 1 del D.lgs. n. 471/1997, in materia di sanzioni, ricorre, tra le altre cose, quando – come nel caso di specie – viene dichiarata un’imposta inferiore a quella dovuta (cfr.: comma 2, art. 1, D.lgs. n. 471/97) e risulta sanzionata per un importo elevato, compreso, in specie, tra il 100 ed il 200 per cento della maggiore imposta dovuta e non versata.
Orbene, come graniticamente riconosciuto, tanto dalla Dottrina quando dalla Giurisprudenza, “analogamente a[lla] dichiarazione omessa, si ritiene che la sanzione prevista per la dichiarazione infedele assorba quella stabilita per l’omesso versamento della maggiore imposta non dichiarata. Pertanto, nel caso di maggiore imposta pari a 100, troverà applicazione solo la sanzione dal 100 al 200 per cento e non anche quella del 30 per cento applicabile all’omesso versamento” (Cfr.: Roberto Fanelli, “Sanzioni fiscali, previdenziali e societarie”, XI Ed., IPSOA, 2011, pag. 204).
In altre parole, “nel nostro sistema punitivo la sanzione per omessa dichiarazione [al pari di quella per infedele dichiarazione] assorbe anche l’omesso versamento, che non può essere contestato in tali casi in via autonoma o tantomeno aggiuntiva” (cfr.: Prof. Cordeiro Guerra, “Il Global Service non sconta l’accisa sull’energia elettrica”, in GT – Riv. Giur. Trib., 2010, pag. 623).
E’, peraltro, evidente che, per intuitive ragioni di ordine logico-sistematico, analogo ragionamento a quello condotto per l’omesso versamento può essere agevolmente fatto per la violazione del ritardato versamento, essendo tale fattispecie contemplata nella stessa disposizione – l’art. 13 del D.lgs. n. 471/97 – dell’omesso versamento e sanzionata in identica misura (i.e. 30% di quanto non versato ovvero versato in ritardo) rispetto a quest’ultima violazione.
A favore di un’“assorbenza” tra l’infedele dichiarazione e l’omesso/ritardato versamento, peraltro, si sono pronunciate – con giurisprudenza assolutamente costante – anche le Corti di merito, che hanno affermato come “l’omesso versamento va riferito all’ipotesi di imposte dichiarate da versare ma non versate, e non anche all’ipotesi di imposte non dichiarate e quindi formalmente non da versare. Per queste ultime c’è infatti già la sanzione per l’omessa o infedele dichiarazione, ben più pesante – in quanto tiene conto anche della implicita intenzione di non versare il quantum non dichiarato – di quella per il semplice omesso versamento di imposte già dichiarate” (cfr: Commissione tributaria regionale del Piemonte, sez. 38, 30 ottobre 2003, n. 21).
Ad analoghe conclusioni giunge la Commissione tributaria Provinciale di Milano, sez. 3, con sentenza del 9 marzo 2010, n. 94, sostenendo che “la sanzione per omesso versamento può essere irrogata solo in relazione ad un’imposta dichiarata e non versata”.
Di identico avviso, anche la Commissione tributaria provinciale di Ravenna, sez. 1, 28 marzo 2011, n. 57, ove afferma che “sul piano logico l’infedeltà della dichiarazione comporta sempre l’omissione totale o parziale dei versamenti. L’omesso versamento risulta già represso con la più grave sanzione, prevista per omessa o infedele dichiarazione … Viceversa la sanzione per omesso versamento … può essere irrogata solo in relazione ad un’imposta che sia stata dichiarata, e non versata.
In tal senso, si segnalano anche le sentenze della Comm. trib. prov. Vicenza, sez. 4, 28 ottobre 2011, n.92, Comm. trib. prov. Ravenna, sez. 1, 10 febbraio 2009, n. 28, CTR di Milano, sez. 32, 22 novembre 2013, n. 141/32/13, ove si afferma che “la sanzione per infedele dichiarazione deve ritenersi assorbente relativamente a quella per tardivo versamento, in considerazione che l’infedele dichiarazione non può essere conseguenza dell’omesso versamento delle ritenute”.
Del resto, tale posizione è stata sposata anche dalla stessa Agenzia delle Entrate con orientamento più che consolidato, se si considera che nelle Istruzioni di compilazione del Modello Unico SC degli ultimi dieci anni, nell’Appendice rubricata “Sanzioni amministrative” si evidenzia come la sanzione del 30% per omesso/ritardato versamento si applica solo nell’ipotesi di dichiarazione presentata con ritardo non superiore a 90 giorni, mentre non si applica nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione ovvero infedele dichiarazione, rimanendo evidentemente assorbita dalle più aspre sanzioni previste nel caso in cui si verifichino tali violazioni afferenti la dichiarazione.”
In aggiunta a quanto sopra, vale rilevare che la questione può essere riguardata anche dal punto di vista del cumulo giuridico e del concorso formale.
In specie, con riferimento al concorso formale, vale rilevare che il comma 1 dell’art. 12 del D.lgs. n. 472/97 dispone che: “E’ punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi ovvero commette, anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizione”.
In particolare, si ricorda che il concorso formale è stato introdotto nel nostro Ordinamento fiscale – in ossequio ad un principio generale di favor rei accolto anche dall’art. 81 c.p. – per soppiantare il più aspro e repressivo trattamento previsto dal c.d. “cumulo materiale” delle sanzioni (consistente semplicemente nella sommatoria delle varie sanzioni previste per le diverse violazioni).
Tale fattispecie del concorso formale ricorre, ex comma 1 del menzionato art. 12 del D.lgs. n. 472/97, tutte le volte in cui con una sola azione od omissione si commettono violazioni tali da non incidere sulla corretta determinazione dell’imponibile ovvero liquidazione del tributo.
Ebbene, con riferimento al caso in disamina, si deve evidenziare che anche la CTR di Milano, con la sentenza della Sez. 32, n. 141/32/13, depositata il 22 novembre 2013, ha indagato sulla natura del rapporto intercorrente tra le due soprarichiamate violazioni, rilevando la sussistenza di un’ipotesi di cumulo giuridico.
In specie, è stato ribadito che nella fattispecie prospettata “non si tratta di più azioni (…) ma di un’unica azione, vale a dire mancato pagamento di quanto dovuto a saldo per il versamento delle ritenute operate. L’unica omissione è questa e da ciò deriva l’infedele dichiarazione e, quindi, il tardivo pagamento. Nel caso in esame si versa nell’ipotesi del cumulo giuridico, così come mutuato dal principio espresso dall’art. 81 c.p. con la conseguente applicazione della pena prevista per la violazione più grave. Infatti, con l’entrata in vigore dell’art. 12 D.lgs. n. 472/1997, la sanzione va applicata una sola volta in misura ridotta in luogo di quella derivante dalla materiale sommatoria delle sanzioni relative ai singoli illeciti (c.d. cumulo materiale). Si ribadisce che nel caso in esame si tratta di una sola omissione con cui sono state commesse più violazioni di legge e quindi la sanzione applicabile sarà unica.”
In conclusione – preso atto dell’esistenza, all’interno dell’Ordinamento fiscale, di norme sanzionatorie adeguate (i.e. sanzione per dichiarazione infedele, ex comma 2 dell’art. 1 del D.lgs. n. 471/1997 e sanzione per ritardato versamento, ex comma 1, art. 13 del D.lgs. n. 471/1997) a colpire le diverse violazioni che possono essere poste in essere dal contribuente a seconda dell’entità del disvalore della condotta tenuta da quest’ultimo – occorre, poi, necessariamente, porle in un rapporto “gerarchico” così da riconoscere una volta per tutte che “il più comprende il meno”, sia che a tale risultato si arrivi mediante l’assorbenza che mediante l’istituto del cumulo giuridico. Solo un approccio di questo tipo, infatti, al quale si potrebbe arrivare, in via definitiva, con un’apposita novella legislativa, consentirebbe di garantire il rispetto del principio, di matrice europea, di proporzionalità delle sanzioni rispetto alle violazioni commesse ed al comportamento tenuto dal contribuente ed evitare che la resipiscenza, invece che premiata, risulti sanzionata non una, bensì due volte!
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(di Andrea Orabona)
Con sentenza n. 5825 del 28 aprile 2014, depositata in cancelleria il 27 maggio 2014, il Tribunale di Milano, sez. III penale, in composizione monocratica, ha mandato assolto il legale rappresentante pro tempore di una società di capitali dalla fattispecie incriminatrice di omesso versamento di ritenute certificate ex art. 10 bis D. Lvo 2000/74 – per difetto dell’elemento soggettivo sotteso all’integrazione del medesimo illecito fiscale -.
La sentenza di proscioglimento che qui ci occupa – emessa con la formula ampiamente liberatoria del “perché il fatto non costituisce reato” – rileva il ruolo di assoluta centralità oggi attribuito dalla giurisprudenza di merito all’estremo del dolo generico nell’accertamento della responsabilità penale del contribuente, vuoi persona fisica vuoi organo apicale preposto all’amministrazione di un ente giuridico, per i reati puniti dagli artt. 10 bis e 10 ter D. Lvo 2000/74.
Nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale Meneghino era, invero, emersa la prova oggettiva del mancato versamento in termini di una parte delle ritenute d’acconto – indicate nella dichiarazione annuale “Mod. 770” della società debitrice d’imposta – per un ammontare superiore ad Euro 50.000,00, ovvero, all’importo stabilito per la punibilità del soggetto/responsabile dell’imputazione tributaria.
Ciononostante, il Giudice penale ha inteso attribuire un rilievo prioritario al profilo dell’involontarietà (rectius inconsapevolezza) dell’omissione di pagamento in capo al firmatario della dichiarazione fiscale di sostituto d’imposta dell’ente, identificato nel Presidente del Consiglio d’Amministrazione in pectore di un’impresa commerciale di medio/grandi dimensioni.
In particolare, la linea difensiva dell’imputato ruotava tutt’intorno alla valorizzazione delle seguenti circostanze di fatto – inerenti – i) le funzioni prettamente manageriali in concreto svolte dall’amministratore pro tempore della società; ii) la possibilità di utilizzo di crediti d’imposta in compensazione con l’importo dovuto a titolo di ritenute d’acconto certificate; iii) l’assenza di qualsivoglia contenzioso e/o pendenza fiscale con l’Amministrazione Tributaria da parte dell’ente debitore.
Senza sottacere il rilievo attribuito dal Giudice Penale alla predisposizione della dichiarazione di sostituto d’imposta ad opera di Studi professionali/esterni all’impresa commerciale – tale da munire di un ulteriore tassello probatorio il profilo di involontarietà del fatto di reato da parte dell’imputato – che – “quale legale rappresentante pro tempore della società aveva sottoscritto il modello 770/2009, ma non era certamente in grado di capire e verificare che i conti fossero corretti nelle singole voci che li componevano o di controllare i singoli versamenti”.
Da qui, l’esito assolutorio assunto dal Tribunale di Milano, che – nel solco di un trend (quasi) portato a termine dalla giurisprudenza/penale di merito – ha così inteso superare le considerazioni dietrologhe di alcuni studiosi sulla natura marcatamente oggettiva della responsabilità penale del contribuente per la commissione delle fattispecie “meramente sanzionatorie” dell’omesso versamento di ritenute certificate o dell’I.V.A. ai sensi degli artt. 10 bis e 10 ter D. Lvo 2000/74.
Con l’auspicio che gli sforzi interpretativi, profusi dai collegi difensivi nelle Aule di Giustizia, possano definitivamente condurre tutti i Giudici di Merito ad affrontare con maggior attenzione i processi chiamati in tema di reati tributari, e, vieppiù, con lo sguardo precipuamente rivolto all’accertamento dei profili soggettivi sottesi alla configurabilità dei delitti fiscali – anche in conformità al celeberrimo principio costituzionale di personalità della responsabilità penale ex art. 27 Cost. -.
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