Tutela penale dell’ambiente: dal disastro innominato al metodo dell’economia circolare
Introduzione
Prima della legge sugli ecoreati, la tutela dell’ambiente era assicurata in via mediata a fronte dell’impostazione antropocentrica, a seguito della quale a rilevare erano i beni della vita e dell’integrità personale comprensivo del diritto alla salute. La riforma ecocentrica avvenuta negli ultimi anni, dapprima con l’introduzione della legge 69 del 2015 e successivamente con la recente riforma degli artt. 9 e 41 della Costituzione che insieme delineano l’importanza di considerare l’ambiente come bene autonomo e di converso consentono l’applicazione di una tutela effettiva del medesimo, trae origine da due fattori: la spinta europeista e l’inadeguatezza degli strumenti giuridici interni in ordine ai disastri ambientali avvenuti nel corso del tempo.
1. La tutela dell’ambiente prima della legge 69 del 2015
Una delle conseguenze negative derivanti da tale impostazione era l’assenza di strumenti normativi adeguati, sia per far fronte al problema dell’inquinamento ambientale, sia per contrastare l’illecito ambientale. Non essendo prevista una fattispecie penale dedicata a punire tali condotte, la giurisprudenza si è trovata ad effettuare un lavoro di interpretazione delle fattispecie presenti che meglio ivi potevano adattarsi. Sul punto è da apprezzare il tentativo di garantire una forma di tutela ai fatti di inquinamento ambientale, di converso però, tali tentativi si sono spesso rivelati infruttuosi a causa dell’inadeguatezza tipologica, culminando quasi sempre con una pronuncia di assoluzione per non aver commesso il fatto, benchè il fatto vi era, solo che non era tipizzato (si trattava di inquinamento e non di danneggiamento). I problemi di effettività della tutela non sono stati superati neanche con l’introduzione del testo unico ambientale (d. lgs. n. 152 del 2006) caratterizzato da fattispecie contravvenzionali e improntate sul tipo del reato di pericolo presunto/astratto. Anzi, si può ragionevolmente affermare che l’assenza di misure effettive e dissuasive si è maggiormente accentuata proprio a seguito della sua emanazione. Ci si riferisce all’impostazione stessa dell’intervento penalistico, concentrata su una tutela puramente formalistica incardinata sulla repressione delle violazioni del potere sanzionatorio della P.A. (per lo più indirizzate a punire i superamenti dei limiti delle emissioni) con ricadute negative sul principio di offensività in concreto. In tal modo, infatti, si conferma la natura dell’ambiente come bene tutelato in via mediana e indiretta. Con il testo unico ambientale però cominciano a delinearsi i tratti distintivi di una politica ambientale efficiente, in quanto, non solo vengono richiamati i principi europei di precauzione (art. 3 T.U.A), di prevenzione, di ripristino dei luoghi e della repressione del responsabile (chi inquina paga) ma, si recepisce la logica dell’economia circolare, improntata al concetto di riuso dei beni, espressivo dell’esigenza di ridurre a zero la produzione dei rifiuti come strumento più efficiente alla lotta contro l’inquinamento ambientale (la nozione di sottoprodotto è disciplinata dall’ art. 184 bis T.U.A.) prevedendo una vera e propria gerarchia dei rifiuti e un intervento programmatico, si pensi al procedimento della valutazione sull’impatto ambientale (art. 4 T.U.A.).
A fronte dell’inefficacia deterrente e dell’ineffettività della tutela conseguenti a tali impostazione sistemica, la giurisprudenza, dapprima nei casi più gravi e successivamente anche in riferimento ai c.d. micro-eventi come il caso del Petrolchimico di Porto Marghera (1), ha esteso l’applicazione dell’art. 434 c.p. sulla base della locuzione altri disastri (disastro innominato) presente al co. 3, diversi rispetto alle ipotesi tipizzate, riconducendovi i disastri ambientali. Anche questa operazione ermeneutica rappresenta un tentativo lodevole per ovviare all’assenza di una tutela penale diretta nei confronti del bene ambiente ma, allo stesso tempo, non priva di problematiche applicative fino a rasentare la violazione del principio di tipicità. Sull’applicazione di tale fattispecie, infatti, sono susseguiti contrasti ermeneutici culminati con questioni di legittimità costituzionale per contrasto al principio di legalità ex art. 25 Cost. per difetto di determinatezza e violazione del principio di tassatività. Risultava dubbio il significato stesso di altri disastri, la cui locuzione inquadra fatti simili ai disastri disciplinati espressamente nel codice penale (incendio, frana, valanga, crollo di costruzioni) e in tal senso si paventava il rischio di incorrere in operazione analogiche, vietate in malam partem. La storia ci insegna che tutte le questioni di legittimità sollevate sono state puntualmente respinte dalla Corte Costituzionale la quale, in particolare con la sentenza n. 327 del 2008 non solo chiarisce che la fattispecie non viola il principio di tassatività e che si può fare uso di clausole generali se le stesse vengano correttamente inquadrate in un contesto di significato certo, ma delinea i tratti distintivi del disastro: “si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi e gravi, complessi ed estesi” e l’evento deve provocare “un pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone (offesa alla pubblica incolumità)” senza che sia richiesta la verificazione dell’evento, sia esso rappresentato dalla morte o dalle lesioni gravi di un numero indeterminato di persone (visione unitaria).
Nonostante la tenuta penale-costituzionale della fattispecie, però, l’esito del processo sul caso Eternit condusse alla c.d. normazione di emergenza. Infatti, a fronte dello spirare del termine prescrizionale, il disastro Eternit rimase impunito provocando una reazione avversa sia dei cittadini che delle istituzioni europee sempre più orientate a politiche effettive e dissuasive contro i crimini ambientali.
2. La politica ambientale dell’Unione Europea, il ritardo normativo e la legge sugli ecoreati
Dalla normazione europea di principio e di dettaglio si evince l’obiettivo di voler armonizzare le politiche ambientali degli Stati membri in ordine al c.d. elevato livello di tutela raggiungibile sulla base di un intervento sistematico e polifunzionale incentrato in via prioritaria sulla tutela graduale e preventiva (principi di precauzione (2) e di prevenzione), seguita da strumenti repressivi e funzionali al rispristino dello stato delle cose (principio del ripristino dello stato dei luoghi e in via sussidiaria, principio del chi inquina paga). L’U.E. ha come obiettivi primari quello di ridurre sensibilmente l’inquinamento ambientale e affronta tale problematica richiedendo agli Stati sia misure effettive e dissuasive per combattere l’illecito penale, sia l’attuazione di politiche improntate alla sostenibilità del bene ambiente (artt. 3 T.U.E. e 191 T.F.U.E.) a vantaggio delle generazioni future. L’azione si indirizza in particolar modo a contrastare l’illecito commesso dalle imprese (3), essendo quest’ultime il principale fattore da monitorare in tal senso, prospettando politiche rivolte alla trasparenza dei processi produttivi, all’introduzione di modelli organizzativi adeguati (4), al controllo del rispetto dei limiti e delle soglie minime in termini di contenimento della produzione nociva nel range del rischio consentito (la Corte di giustizia U.E. con la pronuncia del 2021 n. 357 ha espressamente affermato che bisogna contrastare il c.d. greenwashing: aziende con politiche non ambientalmente virtuose che mascherano il proprio status).
Lo Stato italiano, in realtà, si è mostrato al quanto restio in tale materia, sia per ragioni strettamente organizzative ed economiche che per ragioni culturali. Il deficit di tutela, tra le tante conseguenze, ha provocato la sottoposizione dello stesso a più procedure di infrazione (5) da parte dell’Unione Europea, proprio a causa del mancato o ritardato recepimento delle direttive UE in materia ambientale (6). Si pensi che la Direttiva rifiuti del 1975, venne recepita solo 22 anni dopo con il c.d. Decreto Ronchi (7), il quale, ha introdotto sia la liberalizzazione dei servizi in materia di gestione dei rifiuti, avendo come obiettivo quello di abbattere le diseconomie di scala prodotte dalla mala gestio pubblica (attuazione del principio di concorrenza), in ordine alla riduzione degli sprechi e all’efficientamento della gestione, sia il concetto stesso di riuso dei materiali, individuato come soluzione alla riduzione della produzione dei rifiuti, considerata il grave problema che impedisce la sostenibilità ambientale a danno delle future generazioni.
Con il Decreto Ronchi e le successive modifiche, l’Italia ha attuato una politica ambientale orientata alla prevenzione, alla precauzione e all’autoresponsabilità (chi inquina paga).
In materia penale, il problema del deficit di tutela (8) può dirsi finalmente superato con la riforma del 2015 (d. lgs. n. 68) (9) che, come già anticipato, non a caso è intervenuta immediatamente dopo il clamore mediatico scatenato dal caso Eternit (10).
La legge di riforma del 2015 (11) ha riorganizzato, in ottica sistematica, le poche fattispecie penali presenti nel Testo unico ambientale, ha introdotto ex novo un apposito titolo (VI bis) all’interno del codice penale dedicato, appunto, agli ecoreati e ha inserito tali fattispecie nei reati presupposto per la responsabilità penale degli enti ex art. 25 undecies (si pensi che le attività degli enti sono quelle maggiormente prolifere di rischi legati alla commissione degli illeciti ambientali). La riforma penale si caratterizza per aver introdotto misure prettamente sanzionatorie (passaggio dal pericolo astratto, al modello dei reati di pericolo concreto e di danno) rivolte a punire gli autori degli illeciti (efficacia deterrente). Si pensi alle fattispecie dell’inquinamento ambientale ex art. 452 bis (12) e del disastro ambientale ex art. 452 quater punito anche a titolo di colpa, all’aggravante per il delitto associativo ex art. 452 octies (associazione per delinquere e di stampo mafioso) e a quella generica ex art.452 nonies (applicabile per tutte le fattispecie), all’applicazione della confisca, anche per equivalente (artt. 452 undecies e 452 quaterdecies). Misure finalizzate ad assicurare il recupero dei luoghi inquinati e la risocializzazione dell’autore dell’illecito, attraverso un sistema sanzione-premio. In quest’ottica, ci si riferisce alla valorizzazione delle condotte riparatorie (si pensi al ravvedimento operoso ex art. 452-decies per coloro che collaborano con le autorità prima della definizione del giudizio) e ripristinatorie (si pensi alla pena accessoria del ripristino dello stato dei luoghi ex art. 452 duodecies c.p.e. all’ulteriore sanzione per l’omessa bonifica). Misure di prevenzione (art. 301 T.U.A.) rivolte ad analizzare le aree di rischio e ad individuare un tempestivo intervento al fine di paralizzare il possibile inquinamento dei luoghi a queste riconnessi (13).
3. Conclusione
Non vi è alcun dubbio che della legge sugli ecoreati ce ne fosse realmente bisogno, forse, in questo senso, quella della normazione in materia ambientale è quella che meglio si coordina con i principi costitutivi penalistici, ci si riferisce in particolar modo al principio dell’offensività in concreto (rispettato perchè si passa da una tutela penale improntata sul modello del reato di pericolo astratto/presunto a un modello di reati di danno e di evento con l’offesa da accertare in concreto) e al principio del diritto penale minimo (anch’esso rispettato, perchè proprio l’inefficacia degli strumenti amministrativi e delle fattispecie contravvenzionali già presenti giustifica pienamente l’intervento repressivo) a fronte di una reale necessità (ampiamente dimostrata dai gravi eventi disastrosi che si sono verificati nel tempo e che non si sono potuti fronteggiare con misure idonee sia allo scopo preventivo che a quello puramente repressivo). Certo è che non ci si trovi in presenza di un sistema organico perfetto. Ci si riferisce ai problemi ermeneutici e applicativi legati alla formulazione di alcune fattispecie, su tutte l’inquinamento ambientale (con i concetti vaghi e di non facile interpretazione dell’abusività (14) della condotta e ai requisiti di significatività e misurabilità (15) degli effetti nocivi causati dalle altrettanto poco chiare condotte di compromissione e deterioramento (16), come elementi costitutivi della fattispecie (17)) e ai rapporti di non facile soluzione tra la fattispecie del disastro innominato e il co. 3 del delitto di disastro ambientale. Invero, a fronte dell’operatività della clausola di sussidiarietà, prevista in apertura dell’articolo, che rinvia all’applicazione della fattispecie dell’art. 434 c.p. e della lettera 3 del primo comma che richiama l’offesa alla pubblica incolumità, si sono susseguiti dei contrasti ermeneutici sull’operatività in astratto delle fattispecie. Sul punto bisogna premettere che le questioni intertemporali sono state giudicate facendo applicazione della disciplina desumibile dai commi 2 e 4 dell’art. 2 c.p. non essendosi verificatosi un’ipotesi di abolito criminis. Tale per cui, si è seguito il criterio dell’applicazione della disciplina in astratto più favorevole con il limite del giudicato. La clausola di sussidiarietà, invece, contrariamente alla normale applicazione della stessa che opera rinviando, solitamente, ad una fattispecie più grave che assorbe il disvalore di quella meno grave, consentirebbe l’applicazione del disastro innominato, punito in astratto meno gravemente rispetto al disastro ambientale (fatta salva l’applicazione della fattispecie attenuante del ravvedimento operoso ex art. 452 decies) ma, solo nel caso in cui non si verifichi un evento che vada ad offendere il bene ambiente, in tal caso, anche quando secondo la lettera n. 3 del co. 1 si verifichi oltre che l’offesa al bene ambiente anche il pericolo per la pubblica incolumità, si applica la disposizione sul disastro ambientale non in ragione dell’operare del principio di specialità, ma per l’espressa previsione legislativa che esclude l’applicazione del disastro innominato in tutti i casi in cui il pericolo alla pubblica incolumità pervenga come conseguenza dell’offesa arrecata al bene ambiente (18) (reato plurioffensivo).
Il punto dolente però, non risiede nelle dinamiche conflittuali di origine strutturale ma, nella scarsa efficacia funzionale degli stessi. In altri termini, a fronte dell’organicità della disciplina penale, non si è riusciti a raggiungere l’obiettivo della sensibile riduzione degli illeciti penali che, secondo il report Ecomafie stilato da legambiente inerente all’anno 2022 risultano in aumento (19), maggiormente distribuiti nei territori storicamente legati al fenomeno mafioso (Sicilia, Campania, Calabria che insieme totalizzano circa il 42% dei crimini ambientali totali commessi).
A fronte di tali dati ci si deve interrogare sulla possibilità di ricorrere anche a strumenti diversi. Ad avviso di chi scrive potrebbe rivelarsi utile, in tal senso, l’adozione del modello dell’economia circolare. La logica è quella di puntare ad azzerare la produzione dei rifiuti e ridurre i costi legati alle fasi di lavorazione e riuso.
Note
(1) La Corte di Cassazione in relazione alla pronuncia sul caso del Petrolchimico di Porto Marghera afferma che il disastro «può realizzarsi in un arco di tempo anche molto prolungato, senza che si verifichi un evento disastroso immediatamente percepibile e purché si verifichi quella compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori […] che consentono di affermare l’esistenza di una lesione della pubblica incolumità», superando in tal modo le problematiche legate alla natura istantanea del delitto in ordine ai danni lungo latenti in relazione al decorso del termine prescrizionale.
(2) Tale principio richiede l’intervento di tutela anche in ordine a rischi non ancora scientificamente accertati.
(3) Sul punto si richiama la proposta Bruxelles 2022 dove vengono richiesti alle imprese precisi doveri di diligenza dai fini della sostenibilità ambientale e della tutela dei diritti umani, non solo in relazione alle attività poste in essere direttamente ma, anche nei confronti delle catene del valore, dunque nei confronti delle società affiliate.
(4) Sul punto si prenda visione della sentenza della Cassazione del 2019 n.3157 incentrata proprio sul modello di prevenzione 231 in termini di efficacia dello stesso (minimizzazione del rischio di commissione del reato su cui si procede).
(5) Trovi il dato su https://www.openpolis.it/le-infrazioni-europee-allitalia-sullambiente/.
(6) Si ricordi che l’Unione Europea in materia ambientale ha competenza concorrente agli Stati e che proprio in tale ambito, si è delineato l’ampliamento dell’intervento unionale in materia di diritto penale (obblighi di tutela penale attraverso sanzioni deterrenti, dissuasive ed effettive).
(7) Con il d. lgs n. 22/1997 viene introdotto il metodo dell’economia circolare, individuato come principale strumento per ridurre lo spreco delle risorse ed apportare i criteri dell’efficienza e della razionalità alla gestione del servizio.
(8) Si pensi al problema del decorso della prescrizione. Sul punto si faccia riferimento alla nota pronuncia della Cassazione, sentenza del 19 novembre 2014, n. 7941, Schmidheiny, in C.E.D. Cassazione, sul caso Eternit proprio in ordine ai rapporti tra l’applicazione del disastro innominato ex art. 434 c.p. e al decorso del termine prescrizionale.
(9) F., PALAZZO, I nuovi reati ambientali. Tra responsabilità degli individui e responsabilità dell’ente, in Dir. Pen. Cont., n. 1/2018; C., RUGA RIVA, La disciplina dei rifiuti, in M. Pelissero (a cura di), Reati contro l’ambiente e il territorio, Torino, II ed. 2019, p. 167 ss.; L. SIRACUSA., La legge 22 maggio 2015, n. 68 sugli “ecodelitti”: una svolta “quasi” epocale per il diritto penale dell’ambiente, in Dir. Pen. Cont., n. 2/2015; In senso contrario si vedano T. Padovani, Legge sugli ecoreati, un impianto inefficace che non aiuta l’ambiente, in Guida al dir., n. 32/2015, pp. 10 e P. PATRONO, I nuovi delitti contro l’ambiente: il tradimento di un’attesa riforma, 11 gennaio 2016, in www.lalegislazionepenale.eu.
(10) G.L., GATTA, Il diritto e la giustizia penale davanti al dramma dell’amianto: riflettendo sull’epilogo del caso Eternit, in Dir. Pen. Cont., n. 1/2015.
(11) Recepisce la direttiva U.E. 2008/99/CE del 19 novembre 2008, incentrata sulla protezione dell’ambiente mediante il ricorso al diritto penale. Sul punto, si ricorda che l’U.E. non dispone di competenza diretta in materia penale, eccetto per le materie transnazionali ma, può indirizzare gli Stati ad adottare una tutela penalistica effettiva e dissuasiva nelle materie in cui ha interessi.
(12) La Cassazione pen. con la sentenza del 2022 n. 32498 è intervenuta in merito alla struttura del delitto di inquinamento ambientale qualificandola come reato di danno posto a tutela dell’ambiente in quanto tale (superamento della visione antropocentrica).
(13) Si procederà alla valutazione scientifica del pericolo e della probabilità del suo verificarsi in un particolare contesto (c.d. risk assessment), per poi valutare quali siano i provvedimenti più idonei a ridurre il rischio ad un livello accettabile (c.d. risk management).
(14) Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione pen. con sentenza n. 28732 del 2018 con la quale ha chiarito che per abusività della condotta si deve intendere sia l’assenza di autorizzazione o autorizzazioni scadute o illegittime, sia l’operare in violazione di leggi statali e regionali ancorchè non strettamente connesse alla tutela ambientale (clausola di illiceità speciale)
(15) Le questioni di legittimità costituzionale per contrasto al principio di legalità ex art. 25 Cost. per difetto di chiarezza e precisione della norma sono state rigettate in quanto si ritiene possibile giungere ad un significato univoco dei termini attraverso l’interpretazione sostanzialistica, rivolta ad escludere tutti gli eventi che non compromettono il bene.
(16) Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione con sentenza del 2017 n. 52436 chiarendo che per deterioramento si deve intendere la diminuzione del valore o l’impedimento anche parziale dell’uso e per compromissione, lo squilibrio funzionale tra il bene e gli interessi/bisogni che intende soddisfare.
(17) Così come sancito dalla Corte Costituzionale nella pronuncia sul caso Ilva.
(18) La Corte di Cassazione con la sent. 2990 del 2018 (III Sez. Pen.) è intervenuta circa il distinguo tra le due tipologie di reato, affermando che il collegamento con la fattispecie dell’art. 434 c.p. avviene solo nel caso in cui il reato sia pluri-offensivo e diretto sia all’integrità dell’ambiente quanto alla pubblica incolumità.
(19) Tutti i dati si possono rinvenire su www.legambiente.it/comunicati-stampa/ecomafia-2022-presentati-i-dati-sui-reati-ambientali-in-italia/.
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