Il risparmio privato come garanzia del debito pubblico
Il debito pubblico, in macroeconomia, rappresenta l’ammontare totale di risorse finanziarie prese a prestito dalla pubblica amministrazione (Stato centrale, Regioni, Comuni, Province), per garantire il buon funzionamento dell’apparato statale.
Lo Stato centrale, come qualsiasi ente ed istituzione pubblica dotata di sovranità fiscale, incassa risorse attraverso l’imposizione fiscale, ovvero tassando, secondo certi criteri e percentuali, la ricchezza prodotta all’interno di una data area economica.
Il gettito fiscale, dunque, è fondamentale per poter, abilmente, garantire l’operatività di determinati servizi e beni pubblici quali, ad esempio, l’istruzione, la sanità, la difesa nazionale, ecc.
Qualora lo Stato, inteso come insieme delle istituzioni pubbliche territoriali, non riuscisse autonomamente, ovvero grazie alle risorse sottratte all’economia privata tramite la tassazione, nel far fronte ai suoi impegni di natura economica e finanziaria, affinché gli stessi siano garantiti deve, necessariamente, ricorrere a due distinte misure di politica economica:
- Incremento della tassazione
- Ricorso all’indebitamento
Per poter compensare il deficit di bilancio, ovvero la differenza negativa vigente tra il gettito fiscale e la spesa pubblica, lo Stato può inasprire la tassazione, sottraendo ulteriori risorse all’economia privata, o chiedere fondi a prestito, riversando dunque l’onere sulle generazioni future che, alla luce di servizi non usufruiti, dovranno compensare il debito creato in passato.
Entrambe le decisioni, molto intuitivamente, hanno conseguenze recessive per l’economia: una maggior tassazione, a causa del minor risparmio privato, comporterà una riduzione della domanda privata, con ripercussioni su consumi, investimenti delle imprese ed occupazione.
Qualora, però, gli agenti economici, sulla base del modello economico Barro-Ricardo, fossero razionali, riuscendo dunque a valutare e comprendere le conseguenze e gli effetti della suddetta decisione di politica economica, anche in presenza di un ricorso all’indebitamento deciderebbero di incrementare il risparmio privato, nel periodo corrente, per poter garantire e onorare il debito nel periodo successivo.
Entrambe le decisioni, sostanzialmente, se valutate razionalmente, comporterebbero una riduzione della domanda privata , con effetti recessivi per l’economia.
Il ricorso all’indebitamento, inoltre, prevede che l’economia debba essere in grado, nel periodo di tempo che intercorre tra l’assunzione e la restituzione del debito, di maturare e generare una ricchezza sufficiente ad estinguere il finanziamento e gli interessi ad esso associati altrimenti, e questo potrebbe compromettere seriamente la stabilità di un sistema economico, si dovrebbe incrementare ulteriormente il debito per estinguere il finanziamento passato, innescando così una spirale potenzialmente devastante.
Il risparmio privato, ovvero la quota di ricchezza in mano a privati (famiglie e imprese) dopo l’azione impositiva del settore pubblico, è una componente fondamentale nel valutare la salute, sostenibilità e solidità di un sistema economico.
Un sistema economico efficiente, affinché vi sia una corretta allocazione delle risorse economiche, deve prevedere una rete di intermediari finanziari, banche su tutti, che permettano al risparmio privato in eccesso di confluire verso quei soggetti in disavanzo finanziario, che necessitano di fondi e liquidità per garantirne il loro funzionamento.
L’Italia, ad esempio, ha un debito pubblico particolarmente elevato, prossimo a circa il 140% del Pil nel 2024, secondo le ultime stime dell’Istat, pari in valore assoluto a 2.870 miliardi di euro.
Nonostante il debito pubblico italiano, secondo gli economisti e gli analisti finanziari, rappresenti il tallone d’Achille del nostro Paese, ed un serio ostacolo alla crescita e al progresso economico, data anche l’ingente spesa per interessi passivi che grava su di esso, stimata essere pari a circa 60 miliardi di euro l’anno, è reso sostenibile dal risparmio privato interno.
E’ fondamentale, per garantire che vi sia equilibrio nelle finanze pubbliche, che il debito pubblico di un Paese sia detenuto, soprattutto, da residenti e investitori nazionali affinché, in fase di restituzione del capitale, la liquidità non fuoriesca dell’economia domestica.
Il Giappone è il Paese, a livello mondiale, con il più alto livello di debito pubblico, stimato essere attorno al 250% del Pil, senza che esso però rappresenti una minaccia incombente per l’economia nipponica.
Il Giappone, infatti, nonostante il debito pubblico elevato, ne garantisce la sostenibilità grazie al risparmio privato nazionale che finanzia, quasi interamente, il disavanzo di bilancio pubblico. I detentori del debito pubblico giapponese, analizzando la condizione macroeconomia dell’economia nipponica, si evince come siano caratterizzati, principalmente, da individui ed istituzioni finanziarie giapponesi.
Essi, infatti, non avranno tendenze alla speculazione finanziaria e, inoltre, saranno anche propensi a mantenere suddetti titoli in portafoglio fino a scadenza, anche alla luce di tensioni finanziarie e crisi economiche.
Il Giappone, poi, a differenza dell’Italia ha una pressione fiscale (rapporto tra gettito fiscale e Pil) molto inferiore a quella italiana e questo, sostanzialmente, gli consente, qualora volesse attuare politiche fiscali restrittive, di inasprire la pressione fiscale di pochi punti percentuali sul Pil, riducendo così il disavanzo di bilancio pubblico.
E’ perciò, cruciale, affinché l’economia possa crescere in modo prospero e rigoglioso, che i risparmiatori nazionali detengano quote crescenti dei titoli del debito pubblico in quanto, oltre a garantire sostenibilità e stabilità al debito pubblico, questo permetterebbe allo Stato di richiedere minori interessi in sede di indebitamento, rispetto alla circostanza in cui i sottoscrittori fossero istituzioni finanziarie e residenti esteri, meno interessati alla salute dell’economia e guidati da istinti monetari, fondati sulla ricerca del profitto, piuttosto che amore per la patria e il Paese.
E’ bene, per garantire pragmatismo ai discorsi sopra affrontati, introdurre la seguente identità economica:
(G-T) = (S-I) + (X-M)
In cui:
(G-T) = Avanzo (G-T >0), Disavanzo (G-T <0) di bilancio pubblico;
(S-I) = Risparmio (S-I >0), Indebitamento (S-I<0) privato di famiglie e imprese;
(X-M) = Avanzo commerciale (X-M>0), Disavanzo commerciale (X-M<0).
Da questa identità contabile, che per definizione deve sempre essere valida, si deduce come il Governo possa finanziare il disavanzo di bilancio in due modalità distinte:
- Tramite il risparmio privato
- Attraverso un surplus commerciale
I fondi e la liquidità, affinché il disavanzo di bilancio pubblico venga finanziato, possono provenire dalla ricchezza privata, tramite tassazione e sottoscrizione dei titoli del debito pubblico. In questo modo le risorse, in eccesso tra gli individui finanziariamente in surplus, convogliano nelle casse dello Stato, colmando e risanando il disavanzo di bilancio.
Contestualmente il disavanzo pubblico può essere finanziato grazie a risorse provenienti da economie estere, reso possibile grazie ad un avanzo commerciale, ovvero una condizione macroeconomica in cui l’economia esporta più risorse di quel che effettivamente importa.
Un avanzo commerciale, infatti, implica un afflusso netto, nell’economia domestica, di valuta estera necessaria per garantire trasparenza ed omogeneità nella transazione.
La maggiore valuta estera proveniente nell’economia domestica, data l’inefficacia per l’economia della stessa nello svolgere ed eseguire le transazioni, verrà convertita, tramite l’azione degli intermediari finanziari come gli istituti bancari, in valuta domestica locale che verrà impiegata nell’economia per sostenere gli investimenti privati, i consumi e il deficit pubblico statale.
In economia, dunque, non esistono pasti gratis ed ogni azione ha una conseguenza specifica con effetti chiari e ben delineati.
E’ importante garantire, da parte dei policy makers, l’equilibrio finanziario delle finanze pubbliche onde evitare squilibri macroeconomici che possano minare il tessuto economico, sociale, produttivo del Paese.