L’abusivismo nell’intermediazione finanziaria
(di Federico Tosone)
La parte quinta del Testo Unico Finanza – dedicata alle “Sanzioni” – reca in esordio l’art. 166 che mira a contrastare il fenomeno dell’abusivismo nell’intermediazione finanziaria (così chiamato per meglio distinguerlo dall’analoga fattispecie di reato disciplinata all’art. 132 T.U.B.).
La norma in esame punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, senza esservi abilitato, svolga servizi di investimento e di gestione collettiva del risparmio, offra in Italia quote o azioni di organismi di gestione collettiva del risparmio (O.I.C.R.), offra fuori sede, ovvero, promuova o collochi, strumenti finanziari o servizi o attività di investimento.
Il secondo comma della norma in esame punisce, invece, con la medesima pena (da sei mesi a quattro anni) chiunque eserciti l’attività di promotore finanziario senza essere iscritto nell’albo unico dei promotori di cui all’art. 31, IV co., T.U.F..
L’oggetto della tutela normativa va identificato nel corretto funzionamento del mercato finanziario – la cui integrità è maggiormente protetta, per lo meno secondo la visione del legislatore, se i soggetti che vi operano professionalmente (gli intermediari) risultino ben individuati e, soprattutto, affidabili tanto sotto il profilo patrimoniale quanto sotto quello della professionalità ed onorabilità dei propri amministratori.
Infatti, l’attività di intermediazione prevista nel T.U.F. è esclusivamente riservata a determinati soggetti e/o enti che debbono rispondere a determinati standard di struttura, onorabilità degli organi gestori e trasparenza degli assetti proprietari.
Tali requisiti sono oggetto della preventiva verifica che svolge l’Autorità di Vigilanza competente (Consob o Banca d’Italia, a seconda dei casi) per il rilascio dell’autorizzazione amministrativa necessaria per l’esercizio della suddetta attività finanziaria.
La ratio della norma in commento è dunque garantire che la funzione cui l’intermediazione finanziaria è preordinata – ossia il trasferimento di liquidità da settori in avanzo (i risparmiatori) a settori in disavanzo (emittenti) mediante la conversione in investimento – venga assolta da soggetti affidabili sul piano economico, etico e finanziario.
Inoltre, la disposizione di cui all’art. 166 T.U.F. è pacificamente riconducibile alle ipotesi di reato di pericolo astratto che rispecchiano l’esigenza del legislatore di anticipare la tutela apprestata in sede penale prima ancora che si verifichi un effettivo nocumento al pubblico dei risparmiatori.
La suddetta questione definitoria si rende altresì indispensabile per la determinazione del momento consumativo del reato di abusivismo finanziario che si perfeziona con il semplice conferimento dei poteri ad un soggetto non abilitato, non rilevando – ai fini della configurazione del reato – le modalità di gestione abusiva dei fondi allocati né gli eventuali danni arrecati al patrimonio del singolo acquirente.
Quanto all’elemento soggettivo richiesto dall’art. 166 T.U.F., per l’integrazione della fattispecie in esame appare sufficiente la sussistenza del dolo generico che consiste nella coscienza e volontà dell’agente di svolgere le attività in essa contemplate con la consapevolezza di non aver acquisito la relativa abilitazione.
Svolta la doverosa premessa normativa, è opportuno ora esaminare la configurabilità in concreto di alcune ipotesi previste dalla norma in commento – con particolare riferimento alla categoria professionale dei promotori finanziari -.
Invero, i profili di penale responsabilità ravvisabili in capo ai promotori non si limitano al solo esercizio non autorizzato dell’attività tipica di offerta fuori sede ad essi consentita (art. 30 T.U.F.) – ma si estendono altresì all’esercizio abusivo di attività di intermediazione che, come si dirà in prosieguo, presuppone la gestione di fatto del portafoglio del cliente risparmiatore/investitore (art. 166, I co., T.U.F.) che esula dalle funzioni riservate per legge alla medesima categoria professionale.
Ciò detto si rende opportuno premettere il ruolo e le funzioni affidate al promotore finanziario nell’ambito del contesto fenomenico che il testo unico mira a disciplinare.
Sebbene l’attività di promozione e collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari e/o servizi di investimento fuori dalla sede legale dell’emittente sia riservata ai soli soggetti abilitati all’investimento dell’altrui risparmio ex art. 30 T.U.F. (gli intermediari), il legislatore ha previsto un’ulteriore riserva di attività in capo alle persone fisiche che per conto di quest’ultimi possono realizzare la medesima offerta c.d. “fuori sede”, ovvero, i promotori finanziari.
Infatti, l’art. 31 T.U.F. stabilisce che, per l’offerta di prodotti e/o servizi d’investimento fuori sede, gli intermediari possano avvalersi dell’ausilio dei promotori finanziari – che, in qualità di agenti ad essi collegati, esercitano professionalmente la suddetta attività come dipendenti, agenti o mandatari, nell’interesse di un solo ente/emittente.
Tuttavia, l’attività del promotore non si limita all’asettico collocamento fuori sede di determinati prodotti e/o servizi di investimento – ma consente altresì l’attività di consulenza ed assistenza strumentale per la propria clientela -.
Con l’emanazione della nota direttiva MiFID (2004/39/CE), il legislatore comunitario ha inoltre inteso estendere il novero delle attività (di consulenza) legittimamente esercitabili dal promotore finanziario.
Invero, tale normativa disciplina la figura professionale dell’agente collegato – che può esercitare attività ulteriori e più incisive rispetto alla semplice offerta di strumenti finanziari c.d. “fuori sede”-.
In particolare, ed ai sensi dell’art. 4, par. 1, n. 25 della MiFID, l’agente collegato è colui che, per conto dell’intermediario, “promuove i servizi di investimento e/o servizi accessori presso i clienti o potenziali clienti, riceve e trasmette le istruzioni o gli ordini dei clienti riguardanti servizi di investimento o strumenti finanziari, colloca strumenti finanziari e/o presta consulenza ai clienti o potenziali clienti rispetto a detti strumenti o servizi finanziari”.
Alla luce di quanto esposto, si rileva una netta discrasia normativa tra l’attività che può essere svolta dall’agente collegato in sede comunitaria – per il quale è primaria l’attività di consulenza al risparmiatore – e quella affidata al promotore finanziario dall’ordinamento interno che, al contrario, appare relegata nei limiti della sola offerta fuori sede ed assistenza meramente strumentale al cliente ex art. 30 T.U.F..
È allora evidente che il corretto inquadramento delle forme di consulenza che il promotore può svolgere assume una notevole rilevanza ai fini della configurabilità – non solo dell’ipotesi di reato specificamente prevista all’art. 166, II co., T.U.F., bensì anche di quella descritta al primo comma della medesima disposizione – riducendone o estendendone inevitabilmente la portata a seconda dell’orientamento che si vuole sposare -.
Il caso che in molteplici occasioni si è presentato al vaglio della giurisprudenza è quello del promotore che, anziché limitarsi all’offerta di tipici contratti di investimento per conto dell’emittente – provvede a stipulare con i propri clienti degli accordi che comportano il potere di gestire discrezionalmente delle somme di danaro direttamente affidate dai risparmiatori -.
In proposito, gli arresti della giurisprudenza di legittimità sono pacifici nel ritenere integrato il reato di abusivismo – ai sensi dell’art. 166 T.U.F. – “dalla condotta del promotore finanziario il quale, “anziché limitarsi all’attività di promozione dei prodotti finanziari e le connesse attività materiali volte a favorire la conclusione del contratto tra cliente ed intermediario per conto del quale opera nonché la limitata attività di consulenza, stipuli con il cliente un contratto di gestione degli investimenti finanziari e percepisca le somme all’uopo destinate” (Cass. pen. 7/5/2014 n. 18775).
Il promotore non può, dunque, prestare personalmente servizi di investimento – neppure per i clienti del soggetto abilitato per il quale esplica le proprie funzioni – dovendosi invece limitare a svolgere l’attività di consulenza necessaria per il risparmiatore in quanto e solo se strumentale all’offerta del prodotto realizzata fuori sede.
In conclusione, all’interprete sarà sempre demandato il difficile compito di delineare i tratti distintivi sottesi all’attività di gestione di portafogli (definita dall’art. 1, comma V-quinquies, T.U.F., introdotto dal D. Lvo 164/2007 in attuazione della direttiva MiFID) – che integrerebbe gli estremi del reato in commento se attuata dal promotore finanziario – rispetto alla lecita attività di assistenza che quest’ultimo è chiamato a prestare nell’interesse del cliente per l’efficace esercizio della propria attività e funzione istituzionale ai sensi dell’art. 30 T.U.F..