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L’incentivazione israeliana all’innovazione: il regime di “Innovation Box”

Il 29 dicembre 2016 venne introdotto, in un territorio molto vicino alle esigenze delle imprese del settore “High Tech”, un regime volto a incentivare l’allocazione, nel territorio nazionale, dei profitti e della proprietà dei cd. “intangibles”, ossia i beni immateriali ormai core business di numerosi colossi digitali del nuovo millennio.

Il territorio di riferimento è Israele ed il regime è stato denominato “Innovation Box”, sulla stregua dei “Patent Box regime” istituiti in differenti ordinamenti mondiali, in forza dell’“Actions 5” elaborata in seno all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (in sigla, OCSE).

L’obiettivo è quello, da una parte, di rendere il proprio territorio attrattivo per tutte le prospere imprese protagoniste dell’economia digitale e, dall’altra, di ridurre le pratiche abusive in materia di “Base Erosion and Profit Shifting” di cui le stesse sono autrici.

1.  Premessa

Israele può essere considerato a tutti gli effetti un’economia avanzata per quanto riguarda, in particolar modo, il settore dell’”High Tech” e della sottostante ricerca e sviluppo (d’ora in poi “R&D”).

Basti pensare che, dati alla mano[1], nel vicino 2018, gli investimenti destinati alla R&D ammontano al 4% del Prodotto Interno Lordo (PIL), statistica di rilevante entità che posiziona Israele al vertice nella classifica degli Stati maggiormente attivi sotto tale versante.

Conscio di ciò, il Legislatore estero, nel rispetto dell’”Action 5” del progetto BEPS (Base Erosion and profit Shifting”) e del c.d. “nexus approach” da essa derivante, ha deciso di introdurre un regime che generi un ambiente ideale per tutte quelle imprese aventi come core business uno o più Intangible.

La strategia adottata è finalizzata ad incentivare gli attori dell’economia digitale, già presenti nello Stato israeliano per la “solaR&S, ad allocare ivi anche la proprietà ed i profitti derivanti dagli IP le cui funzioni “propedeutiche” sono già svolte nel territorio interno.

2. Le agevolazioni previste

Il regime in analisi si presenta, agli occhi del target di riferimento (ossia i board delle grandi digital enterprises), di facile comprensione e forte incisività nelle sue caratteristiche; specificatamente è prevista:

  • l’applicazione di una imposta sul reddito delle società di entità ridotta e pari al 6% del reddito correlato al bene immateriale (Corporate Income Tax, CIT”);
  • l’applicazione di una ridotta ritenuta alla fonte sui redditi distribuiti a società site all’estero pari al 4% e;
  • l’applicazione di una ridotta imposta sulla vendita e/o concessione del bene immateriale pari al 6% (cd. “capital gain tax).

Aspetto di ulteriore rilevanza risiede nella possibilità, anche per le imprese che non rispettano i suddetti requisiti, di godere di un regime fiscale di favore che prevede un’aliquota d’imposta pari al 12% (non più 6%) in relazione ai punti 1) e 3) di cui sopra.

In aggiunta, per le imprese residenti in determinate zona del paese quale la cd. “A zone” (Galilea, Gerusalemme, deserto del Negev), è prevista l’applicazione di un’aliquota del 7.5%. Per non parlare dei regimi di beneficio a cui sono soggette le cd. “Preferred Enterprises”, di non interesse in questa sede.

In sintesi, alle imprese rispettanti determinati requisiti è offerto un ventaglio di possibilità che vanno ben oltre l’Innovation Box, seppur quest’ultimo poni una stringente attenzione al concetto di Intellectual Property ed al suo sfruttamento.

3. Le condizioni per godere dell’Innovation Box

Un’impresa diviene qualificata per il regime fiscale di vantaggio e, pertanto, può godere dei rispettivi benefici, al ricorrere delle seguenti condizioni:

  • investimento del 7% del fatturato degli ultimi tre anni rivolto alla ricerca e sviluppo, ovvero 20 milioni di dollari in ricerca e sviluppo;
  • rispetto di almeno una dei seguenti vincoli:
  1. il 20% dei dipendenti è impiegato in attività di R&D oppure sono presenti almeno 200 addetti nel medesimo settore;
  2. nei periodi di imposta precedenti, la società ha ricevuto investimenti in capitale di rischio per $ 2 milioni
  3. La crescita media annua in tre anni deve corrispondere al 25% sotto il profilo delle vendite o dei dipendenti assunti.

Da una attenta analisi delle suddette condizioni si comprende che non sia richiesto alle imprese di investire nuove risorse in Israele ma di aver investito in passato e continuare ad investire. L’intervento può definirsi strategico proprio per tale motivo; il Legislatore ha cercato di ampliare la presenza di imprese già site nel territorio, ricco di HUB di ricerca, al fine di ottenere un guadagno in gettito e sviluppo tecnologico.

Il rispetto dei limiti appena analizzati non è, tuttavia, stringente; infatti, si specifica che le “companies not meeting the above conditions may still qualify under the discretion of the Israeli Innovation Authority at the Ministry of Economy and Industry[2], lasciando, così, ampia discrezionalità in merito ai “partecipanti” ad un’Agenzia istituita presso il Ministero dell’Economia e dell’Industria.

4. Il nexus previsto per il calcolo del beneficio tra ordinamento italiano e israeliano: cenni

Anche all’interno dell’”Innovation Box”, come per il fratello “Patent Box” italiano, è prevista una formula (cd. “nexus ratio”) utilizzabile per ottenere il reddito imponibile ammissibile ai benefici fiscali.

La formula, in via del tutto semplificata, si presenta come segue:

A x 130%
______   x C = D

A + B

All’interno della quale:

  • A sta per spese ammissibili sostenute per lo sviluppo dell’asset IP;
  • B sta per spese non ammissibili sostenute per lo sviluppo dell’asset IP. Questa categoria di spese comprende i costi di acquisizione IP, i canoni pagati per i diritti di proprietà intellettuale e ricerca e sviluppo in outsourcing a parti correlate non israeliane;
  • C sta per reddito imponibile derivante dal IP, inclusa la plusvalenza e;
  • D sta per reddito imponibile ammissibile ai benefici fiscali.

Il confronto tra la succitata formula e quanto differentemente elaborato all’interno dell’ordinamento italiano permette di desumere interessanti incipit di studio e di comprendere due modus operandi disuguali adottati da Legislatori posti dinanzi al medesimo problema: la tassazione e l’incentivazione dell’economia digitale sotto il versante dell’IP.

In particolare, la normativa di riferimento italiana introduce il seguente nexus ratio ai fini del calcolo del coefficiente da applicare al reddito agevolabile, ossia:

A + B + C + F/A + B + C + D + E

All’interno della quale:

  • A sta per i costi dell’attività di R&D svolta direttamente dai soggetti beneficiari;
  • B sta per i costi dell’attività di R&D svolta da soggetti terzi quali università o enti di ricerca e organismi equiparati e da società, anche start up innovative, diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa;
  • C sta per i costi dell’attività di ricerca e sviluppo addebitati da soggetti appartenenti al medesimo gruppo societario e/o costi afferenti alle attività di ricerca e sviluppo sostenuti dal soggetto beneficiario dell’agevolazione nell’ambito di accordi per la ripartizione dei costi (cd. “Cost Contribution Arrangements”, CCA);
  • D sta per i costiderivanti da operazioni intercorse con società che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa;
  • E sta per il costo di acquisizione, anche mediante licenza di concessione in uso, del bene immateriale e;
  • F sta per il cd. “Up-lift”, ossia un valore di incremento del numeratore equivalente alla differenza tra il valore complessivo del denominatore e il valore del numeratore nei limiti del 30% di quest’ultimo.

Da una prima osservazione “ad impatto” dei due nexus, emerge la maggior complessità della formula italiana seppur, in termini ampi e generali, la ratio sottesa sia la medesima: la ricerca di un valore matematico specifico di collegamento tra l’”attività economica sostanziale[3] svolta dall’impresa digitale e il beneficio ad essa spettante.

Al di la dei dissimili termini utilizzati, ulteriore elemento di contatto è rinvenibile nella strutturazione (oltre che nella ratio) della formula, la quale vede al numeratore i costi di attività di ricerca e sviluppo sostenuti per il mantenimento, l’accrescimento e lo sviluppo del bene immateriale ed al denominatore i costi complessivi sostenuti per produrre lo stesso.

5. Conclusioni

Pratiche consistenti in continui spostamenti dei profitti verso giurisdizioni “eccessivamente favorevoli” fiscalmente per mezzo degli intangibles, con la conseguente erosione della base imponibile dello Stato in cui il valore è generato, sono ormai, al giorno d’oggi, inevitabili.

D’esempio risulta essere il Legislatore israeliano che, nel rispetto delle direttive sviluppate in sede OCSE, ha elaborato un regime che possiede un valore maggiormente pregnante rispetto, ad esempio, al Patent Box domestico, avendo, il primo, la funzione di convincere prospere imprese digitali, già site sul territorio, ad insediarvisi in via ancor più profonda, allocando in esso non solo la funzione relativa alla R&D ma anche la proprietà ed il conseguente valore dei quei beni immateriali, core business della loro stessa attività.

Non si tratta, pertanto, di evitare soltanto che il valore derivante da quegli beni immateriali sfugga all’Erario ma di attirare sempre più imprese innovative per rendere il Paese un polo tecnologico di riferimento in continuo sviluppo.

(A cura di Rocco di Vizio)

Riferimenti

[1] OECD (2020), Gross domestic spending on R&D (indicator). doi: 10.1787/d8b068b4-en (Accessed on 20 May 2020); link: https://data.oecd.org/rd/gross-domestic-spending-on-r-d.htm

[2] Si rimanda alla presentazione elaborata dal Governo israeliano al fine di esplicare il regime in analisi: https://investinisrael.gov.il/HowWeHelp/downloads/BEPS.pdf

[3] La stessa Agenzia delle Entrate, nella Circolare esplicativa del regime Patent Box del 7 aprile 2016 n. 11/E, specifica che “deve comunque sussistere un collegamento diretto tra i costi per attività di ricerca e sviluppo relativi al bene immateriale ed il reddito agevolabile ritraibile dall’utilizzo dello stesso.”. Il concetto di “attività economica sostanziale” viene elaborato in sede OCSE, all’interno dell’Action 5, per quanto riguarda l’annosa questione delle pratiche abusive concernenti i beni immateriali. Per maggiori approfondimenti: http://www.oecd.org/tax/beps/beps-actions/action5/


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a cura del Centro Studi di Economia e Diritto – Ce.S.E.D. Via Padova, 5 – 20025 Legnano (MI) – C.F. 92044830153 – ISSN 2282-3964 Testata registrata presso il Tribunale di Milano al n. 92 del 26 marzo 2013
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