Omesso versamento IVA e soglie di punibilità: l’intervento della Corte costituzionale
(di Federico Tosone)
Con Sentenza n. 80 del 7 aprile 2014, depositata in cancelleria l’8 aprile 2014, la Corte Costituzionale è intervenuta sulla questione di legittimità sollevata dai Tribunali di Bologna e Bergamo (Ordinanze rispettivamente del 13 giugno 2013 e 17 settembre 2013), dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-ter del D. Lgs. 10 marzo 2000 n. 74, nella parte in cui – con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011 – punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad Euro 103.291,38.
L’esito del giudizio costituzionale – benché non di certo scontato – non sorprende, stante la manifesta incoerenza della previsione normativa di cui all’art. 10-ter D. Lgs. 74/2000 rispetto alle differenti ipotesi delittuose di infedele ed omessa dichiarazione di cui agli artt. 4-5 del medesimo decreto nella sua precedente versione prima dell’entrata in vigore D.L. 138/2011 (convertito in legge n. 148/2011) ma ancora applicabili ai fatti commessi precedentemente, ossia prima del 17 settembre 2011.
Ciò premesso, giova ripercorre l’iter argomentativo seguito dai giudici costituzionali che appare lucido e soprattutto proteso ad una ricostruzione sistematica dell’impianto normativo penale-tributario (D. Lgs. 74/2000) sulla base della ratio delle singole norme coinvolte in tale sede, e che potrebbe imporsi come “bussola interpretativa” per i giudici di merito nella risoluzione dei dubbi esegetici con riferimento alla medesima disciplina.
Infatti, la Corte rileva preliminarmente che l’art. 10-ter D. Lgs. 74/2000 è stato introdotto – al pari dell’art. 10-quater (delitto di indebita compensazione) – dall’art. 35, VII comma, D.L. 223/2006. Tale intervento si riconduce ad una revisione della strategia politico-criminale sottesa alla riforma del diritto penale-tributario realizzata con l’introduzione del D. Lgs. 74/2000 ed incentrata prevalentemente sulla fase dell’auto-accertamento del debito di imposta ossia della primaria fase di dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.
Infatti, successivamente alla reintroduzione – con la Legge Finanziaria 2005 – del delitto di omesso versamento di ritenute da parte del sostituto di imposta di cui all’art. 10-bis D. Lgs. 74/2000, il legislatore ha inteso estendere la lotta all’evasione fiscale a quei fenomeni che si configurano successivamente alla determinazione dell’imponibile, ossia alla susseguente fase del versamento – dalla prospettiva del contribuente – o della riscossione – secondo la prospettiva dell’erario.
Pertanto, visto l’espresso rinvio della norma in esame (art. 10-ter) – come del resto dell’art. 10-quater – al trattamento sanzionatorio ed alla soglia di punibilità previsti dall’art. 10-bis D. Lgs. 74/2000, ne discende che la ratio sottesa alle suddette norme è la protezione dell’interesse dell’erario all’effettiva riscossione dell’imposta così come auto-liquidata dallo steso contribuente nella precedente fase dichiarativa.
In relazione a quest’ultima fase, la ratio sottesa alle norme di cui agli artt. 4-5 del D. Lgs. 74/2000 (infedele ed omessa dichiarazione) si configura nella tutela penale del preminente interesse del fisco alla corretta determinazione/accertamento dell’imposta.
Sicché, la Corte – rilevato il grave difetto di coordinamento tra le norme originarie (artt. 4-5 D. Lgs. 74/2000) e quelle di successiva introduzione miranti alla tutela dell’effettiva riscossione (artt.10-bis, 10-ter, 10-quater D. Lgs. 74/2000) – riconosce ed afferma la manifesta irragionevolezza del differente regime sanzionatorio derivante dall’applicazione delle suddette norme tale da giustificare la propria censura a causa della violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.
Con la pronuncia in commento, i giudici costituzionali affermano che la tutela dell’interesse del fisco alla corretta determinazione/accertamento dell’imponibile e di conseguenza della stessa imposta (durante la fase di auto-liquidazione) è certamente primario rispetto a quello successivo di effettiva riscossione che, in quanto tale, presuppone un’imposta già accertata.
Di talché – stabilisce la Corte Costituzionale – gli illeciti in sede di dichiarazione (artt. 4-5 D. Lgs. 74/2000) costituiscono necessariamente condotte più gravi con riferimento alla propria attitudine lesiva dell’interesse protetto dalla norma penale in quanto determinerebbero un accertamento erroneo – nel caso di infedele dichiarazione (art. 4 D. Lgs. 74/2000) – o addirittura l’inesistenza di un soggetto di imposta in un determinato periodo – nel caso di omessa dichiarazione (art. 5 D. Lgs. 74/2000).
Pertanto, la precedente versione di quest’ultime norme (prima dell’entrata in vigore del D.L. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011) – ancora applicabili limitatamente ai fatti commessi fino al 17 settembre 2011 e che esclude la punibilità se l’imposta evasa non sia superiore ad Euro 77.468,53 per ciò che concerne l’omessa dichiarazione (art.5) e ad Euro 103.291,38 con riferimento alla dichiarazione infedele (art. 4) – produce l’irragionevole effetto di prevedere un trattamento sanzionatorio più grave per il contribuente che abbia omesso il versamento di un I.V.A. – benché regolarmente dichiarata – per un importo superiore ad Euro 50.000 ma inferiore a 77.468,53 rispetto a quello che, pur essendo tenuto a dichiarare e versare l’imposta indiretta in esame per un importo parimenti compreso tra le due soglie di cui sopra, non abbia adempiuto ai propri obblighi dichiarativi.
Pertanto, in virtù degli argomenti di cui sopra, la Corte Costituzionale afferma la violazione del principio di uguaglianza ai sensi dell’art. 3 Cost. dell’art. 10-ter D. Lgs. 74/2000 – limitatamente ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011 – e per la cui rimozione e riconduzione della relativa disciplina al rispetto dei precetti costituzionali ha ritenuto necessario modificare la soglia di punibilità con quella più alta prevista per le ipotesi delittuose in relazione alle quali si è riscontrata l’illegittima disparità di trattamento, ossia quella della dichiarazione infedele e quindi per Euro 103.291,38.
In conclusione, prescindendo dall’evidente corollario processuale che la sentenza costituzionale in commento produrrà sui procedimenti penali pendenti aventi ad oggetto l’imputazione per omesso versamento I.V.A. di cui all’art. 10-ter per i fatti commessi sino al 17 settembre 2011, resta tuttavia l’amaro auspicio che lo sforzo esegetico dei giudici costituzionali possa rendersi monito per il legislatore futuro ad uno sforzo ex-ante a che il fisiologico compromesso politico e le imprescindibili contingenze economico-finanziarie nonchè sociali non siano ostacolo alla produzione di norme sistematicamente coerenti.