di Marco Guenzi
Nel primo articolo di questa rubrica, studiando le caratteristiche dell’arte in quanto bene di scambio, si è avuto modo di vedere come l’opera d’arte (visiva) si differenzi dalle altre forme artistiche per cui vige il diritto d’autore (come ad esempio la musica, la letteratura, il cinema, il teatro) per due sue proprietà intrinseche, e cioè per il fatto di essere: a) un bene unico (tranne nel caso di opere riproducibili come stampe, fotografia e video, che però hanno in genere un numero limitato di copie); b) un bene durevole (fanno eccezione le performance e talune installazioni)[1] e in quanto tale forma di investimento soggetta allo scambio non solo in un mercato primario, ma anche in uno secondario.
Proprio per queste sue caratteristiche di unicità e durevolezza l’opera d’arte, sempre restando in un ottica di tipo economico, può essere accostata ai beni immobiliari. Ma il parallelismo non si ferma qui. Sia l’arte che gli immobili posseggono una doppia natura: infatti, da una parte consistono in un bene di consumo (art service/housing service), fruibile da parte di chi ne fa uso (lo spettatore/l’inquilino); dall’altra possono essere considerati anche come forme di investimento, in quanto conservano un valore scambiabile sul mercato (art stock/housing stock) che fa capo alla proprietà del bene[2]. Art service e art stock non necessariamente devono far capo allo stesso soggetto: se i collezionisti detengono l’art stock e nello stesso tempo utilizzano l’art service per se stessi, i musei invece possono essere al limite visti come dei proprietari che “affittano” il bene arte agli spettatori.
Questo parallelismo diventa interessante se andiamo a paragonare le strutture dei due mercati. Un importante indice per valutare il grado di trasparenza e di efficienza di un mercato è rappresentato dal livello dei costi di transazione[3], quei costi cioè che sorgono nel far funzionare il mercato stesso, e che possiamo ricondurre, in gran parte, ai costi di mediazione[4].
Se si va ad esaminare in Italia il livello dei costi di transazione per un immobile, benché essi siano notevolmente più alti della media degli altri paesi OCSE[5], questi si aggirano per le spese di mediazione intorno al 6% del valore dell’immobile (3% a carico di ogni controparte), più i vari oneri notarili e imposte di registro, ipotecarie e catastali: generalmente il totale dei costi di transazione immobiliari non supera il 12% del valore della contrattazione. Nel mercato dell’arte invece, la quota del prezzo di compravendita pattuito spettante alla mediazione delle gallerie sul mercato primario non è raro che arrivi al 50%, e in alcune occasioni persino al 70%[6], mentre nel mercato secondario l’onorario delle case d’aste si attesta tra il 20 e il 35%[7]. Sulle transazioni sul mercato secondario inoltre grava a carico degli acquirenti anche il diritto di seguito (o droit de suite), un’applicazione del diritto d’autore a favore degli artisti, con percentuali che vanno dallo 0,25 al 4% a seconda degli importi[8].
Se si fa un parallelo con l’altro grande mercato degli investimenti, quello finanziario, decisamente più trasparente ed efficiente poiché basato essenzialmente su tecnologie telematiche, lo scarto è ancora più forte: sul mercato azionario ad esempio per la mediazione di compravendita di un’azione la commissione in genere non supera sul mercato secondario lo 0,2% del valore della transazione. Nel computo dei costi di transazione per i titoli in valuta diversa (su FOREX, Foreign Exchange Market) si deve aggiungere il differenziale tra prezzi vendita (ask o lettera) e di acquisto (bid o denaro) praticati dagli intermediari, che può andare dallo 0,1% fino a importi decisamente più elevati (a seconda del broker, della valuta o del titolo). Il differenziale si applica anche per i titoli acquistati fuori dai mercati regolamentati (su OTC, Over The Counter Market), in sostituzione però delle commissioni di compravendita. Mediamente l’insieme complessivo dei costi di transazione per una compravendita azionaria è decisamente inferiore all’1%[9]. Sul mercato primario il livello di tali costi, che nella fattispecie corrispondono alle spese di quotazione di un titolo in borsa, è considerevolmente più alto, comprendendo l’onorario di un global coordinator, di un financial advisor, le spese legali, i costi di comunicazione e le imposte e i fee istituzionali. Esso comunque è per lo più compreso tra il 3,5 e il 7% del valore della quotazione[10]. Rispetto a tali dati non si discostano per ordine di grandezza quelli relativi ai titoli obbligazionari, ai fondi di investimento, e alle altre attività finanziarie[11].
L’alto livello dei costi di transazione è un fenomeno negativo per il mercato dell’arte contemporanea: esso oltre ad essere indice dell’inefficienza e della poca trasparenza del mercato, ha come diretta conseguenza quella di gravare sui ricavi degli artisti, erodendoli, e sui prezzi di vendita pagati dai collezionisti, aumentandoli[12]. Inoltre abbassa il numero di scambi tra le controparti, rendendo l’investimento in arte particolarmente illiquido e quindi, ceteris paribus, più rischioso e meno appetibile rispetto ad asset alternativi. Si rende quindi auspicabile un intervento pubblico che vada nella direzione di sanare questa situazione[13].
A cosa è dovuto allora un livello così elevato dei costi di intermediazione in rapporto agli altri mercati? In parte questo fenomeno forse può venire a dipendere dalle maggiori spese (in relazione al volume d’affari) delle gallerie e case d’aste rispetto ad agenti immobiliari e intermediari finanziari. Sicuramente infatti l’attività di mediazione sul mercato dell’arte risulta più complessa e più ampia, includendo competenze organizzative e culturali[14]. Tuttavia questa spiegazione da sola non risulta essere pienamente convincente: probabilmente la maggiore causa di tale livello dei costi di transazione risiede nella struttura intrinseca dei diversi mercati.
Continuando con il parallelo fra immobili e opere d’arte per quanto riguarda il loro aspetto di beni unici ed eterogenei, se si vanno a considerare le caratteristiche di un edificio che ne determinano il valore (al metro quadro), si trova in primo luogo la sua collocazione geografica (location). Per quanto riguarda un’opera d’arte la caratteristica che in primis ne determina il valore è sicuramente data dall’artista che l’ha eseguita[15].
Questo porta a differenti conseguenze: mentre la collocazione geografica è una caratteristica di facile identificazione da parte della domanda (il compratore sceglierà un immobile in base alle sue esigenze, ad esempio in modo da raggiungere facilmente il luogo di lavoro), la scelta di apprezzare un artista piuttosto che di un altro è oggi, nella maggioranza dei casi, una scelta intermediata dal “sistema dell’arte”.
E’ il “sistema dell’arte” (e con questo termine si intende principalmente l’attività di un piccolo gruppo di influenti gallerie, case d’aste, musei, curatori, critici, artisti, collezionisti e investitori) che determina la visibilità e il valore del lavoro di un artista sul mercato. Il mercato dell’arte risulta essere dunque “intermediato” (e quindi non trasparente), in quanto non vi vige propriamente la legge della domanda e dell’offerta, ma è pilotato nelle sue scelte dagli operatori professionisti che vi operano. Al contrario di campi come la letteratura, la musica, il teatro, il cinema, dove vige un principio “democratico” del successo, determinato dal giudizio diretto del pubblico, nel settore delle arti visive invece quest’ultimo è quasi ininfluente, evidentemente non ritenuto capace (o all’altezza) di capire gli sviluppi dell’arte contemporanea.
Su tale aspetto, e cioè sul fatto che sia giustificabile che un circoscritto numero di individui, seppur profondi conoscitori della materia (ma purtroppo anche con interessi sia di parte sia di casta), determinino le scelte e condizionino i gusti del pubblico, si può aprire un ampio dibattito, che però non si intende al momento affrontare in questa sede. E’ lecito però domandarsi: perché è nato e come funziona questo sistema? Come è connesso con l’altissimo livello dei costi di transazione e la scarsa trasparenza del mercato dell’arte? E quale è l’influenza che esso ha sull’andamento dei prezzi di un’opera? Di queste questioni ci si occuperà in dettaglio negli articoli a seguire.
[1] Nel caso delle performance e di installazioni temporanee non trasportabili (si pensi ai lavori di Christo), ciò che assume valore ed è scambiabile sul mercato non è l’opera d’arte in sé, ma tutto ciò che la rappresenta o ne è testimone (un disegno,una fotografia, un video, un oggetto o materiale utilizzato..).
[2] Per quanto riguarda i beni immobili cfr. Olsen, E.O. (1969), A competitive theory of the housing market, American Economic Review, Vol. 59, pp. 612–622.
[3] Williamson O.E. (1987), Le istituzioni economiche del capitalismo. Imprese, mercati, rapporti contrattuali, Milano, Franco Angeli.
[4] Più specificatamente i costi di transazione fanno riferimento alle attività di ricerca delle informazioni per la ricerca della controparte, di negoziazione della compravendita e della messa in atto della transazione da un punto di vista legale.
[5] OECD (2011), Housing and the Economy: Policies for Renovation, in Economic Policy Reforms 2011, Going for Growth, OECD Publishing, http://www.oecd.org/newsroom/46917384.pdf.
[6] Tra artista e gallerista è inevitabile vi sia un conflitto di interessi legato alla spartizione del valore dell’opera. La rilevanza delle commissioni di intermediazione in genere dipende dal potere contrattuale delle controparti. Gli artisti ai loro esordi in genere sono obbligati a sottostare alle condizioni imposte dalle gallerie, pur di trovare qualcuno che li rappresenti. Gli artisti di successo invece riescono a spuntare alle gallerie condizioni più favorevoli, che possono scendere in rari casi anche sotto il 30%. Diverso tuttavia è il caso in cui le gallerie si impegnino a comprare (senza mandato) all’artista l’opera ad un prezzo pattuito e la rivendano successivamente; oppure la circostanza in cui esse paghino una sorta di stipendio in cambio dell’attività produttiva dell’artista, fissata contrattualmente. In tal caso le gallerie si assumono per intero il rischio di vendita: non si tratta quindi di una commissione di mediazione (e quindi un costo di transazione), ma di un utile per attività di commercializzazione, che è normale sia di una certa consistenza.
[7] Nel caso delle case d’aste la commissione a carico dell’acquirente è pubblica e dipende dal valore del bene. In genere le commissioni d’acquisto (meglio chiamate premi) variano dal 10-15% (per importi molto consistenti) fino al 25% (per piccole cifre) (Thomson D. (2009), Lo Squalo Da 12 Milioni Di Dollari: La Bizzarra E Sorprendente Economia Dell’arte Contemporanea, Milano, Mondadori). Per un riferimento sulle commissioni d’asta dal 1975 al 2009 cfr. Horovitz N. (2011), Art of the Deal, Contemporary Art in a Global Financial Market, pp. 172-173, Princeton, Princeton University Press e O. Ashenfelter – K. Graddy (2011), Art Auctions, in R. Towse (a cura di), A handbook of Cultural Economics, Cheltenham, Edward Helgar. Le commissioni a carico del venditore invece sono contrattabili e si aggirano in genere intorno al 10% (sebbene questi dati non siano mai ufficiali). E’ da notare che nel caso delle gallerie il costo della mediazione è completamente a carico del venditore, mentre per le case d’aste esso grava maggiormente su chi compra.
[8] Cfr. Pirrelli M. – Barrilà S. (2011), Dove conviene comprare? Confronto del tax rate in 20 paesi del mondo, in ArtEconomy24, Plus24, supplemento de Il Sole 24Ore del 29 gennaio 2011.
[9] Secondo la transaction cost analysis, ITG (2013), ITG Peer analysis, Global cost review Q1/2013, ITG Publishing, http://www.itg.com/marketing/ITG_GlobalCostReview_Q12013_20130725.pdf
[10] C. Berretti – F. Di Massa – A. Farina – E. Orsini – E. Pellizzoni (2002), Attività, tempi e costi del processo di quotazione: un’analisi per il periodo 1999-2001, Borsa Italiana,
Click to access costiquot6027.pdf
[11] Cfr. www.borsaitaliana.it
[12] I costi di transazione vanno incidere sulla domanda e sull’offerta in misura diversa in base alla misura della loro elasticità rispetto al prezzo.
[13] Per una disamina di come abbassare i costi di transazione per mezzo di politiche economiche e fiscali cfr. M. Guenzi (2013), Il mercato dell’arte contemporanea: politiche economiche, fiscali e diritto di seguito, in G. Negri-Clementi – S. Stabile (a cura di), Il diritto dell’arte, La circolazione delle opere d’arte, Ginevra-Milano, Skira.
[14] E’ giusto che il contributo del gallerista sia remunerato se questo è volto alla valorizzazione dell’artista e delle sue opere, poiché egli investe in reputazione e quindi crea un valore aggiunto. Ciò giustifica i maggiori margini di mediazione delle gallerie rispetto alle case d’aste, nonostante queste abbiano comunque funzioni accessorie alla vendita quali la promozione dell’evento, il trasporto, lo stoccaggio e la consegna, la verifica dell’autenticità della provenienza delle opere nonché della solvibilità degli acquirenti (Thomson D. (2009), op. cit.).
[15] Velthuis O. (2005), Talking Prices: Symbolic Meanings of Prices on the Market for Contemporary Art, Princeton, Princeton University Press. In secondo luogo ciò che maggiormente determina il prezzo di un’opera è la sua dimensione (e non invece la sua qualità); successivamente la tecnica utilizzata e il prezzo di vendita ad un museo.
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