Il mercato degli artisti emergenti (Alternative Market) – seconda parte
(di Marco Guenzi)
Nel presente articolo continua la disamina del settore degli artisti emergenti (denominato anche Alternative Market dagli operatori del settore), cioè di quel mercato che comprende gli artisti a inizio carriera (nel senso che questa non ha trovato ancora un adeguato sviluppo) che però sono riusciti a farsi rappresentare commercialmente da una galleria e vengono quindi a pieno diritto a far parte del sistema dell’arte. Si riprenderà il discorso andando prima ad analizzare le politiche commerciali messe in atto dalle gallerie al fine di promuovere al meglio questi artisti. Successivamente si passeranno in rassegna i fattori che influenzano la composizione della domanda e dell’offerta. Si lascerà al prossimo articolo invece la trattazione delle caratteristiche del mercato, dei meccanismi di raggiungimento di un equilibrio nel breve e nel lungo periodo, dei fattori che influenzano lo sviluppo delle carriere degli artisti emergenti e delle politiche economiche che possono essere messe in atto per incrementare il benessere del comparto.
Le politiche commerciali delle gallerie
Sebbene i galleristi, come si è avuto modo di vedere, possono avere svariate motivazioni che li spingono a intraprendere tale attività e attuare scelte differenziate, sia nella strategia commerciale che nelle decisione di quali artisti selezionare, è possibile trovare nei loro comportamenti dei tratti comuni[1].
In particolare le gallerie di scoperta, che operano sul mercato Alternative e svolgono il ruolo di gatekeeper del sistema, si trovano da una parte davanti all’arduo compito di convincere i collezionisti della qualità delle opere di artisti che non hanno ancora ottenuto un’approvazione da parte del sistema dell’arte, dovendo ancora dimostrare interamente il proprio valore in un lungo processo di legittimazione (endorsement); dall’altra tali gallerie si trovano nella condizione di dover affrontare l’eventualità, nel caso che questi abbiano ottenuto un certo successo, di essere liquidate dagli stessi artisti e di vedere quindi vanificati i loro sforzi[2].
Si può quindi dire che uno dei principali obiettivi delle gallerie di scoperta, sia per tranquillizzare i collezionisti riguardo alle proprie scelte di investimento in un settore ad alto rischio, sia per scongiurare l’eventualità di venire lasciati dagli artisti, è quello instaurare con questi ultimi una relazione di lunga durata che sia proficua (una specie di joint-venture), che si concretizzi cioè in una crescita delle relative carriere in parallelo. Ciò significa quindi che le quotazioni degli artisti devono seguire una crescita graduale e costante nel tempo, riducendo al minimo gli effetti di momentanei scostamenti della domanda o dell’offerta[3]. La funzione primaria delle gallerie di scoperta è quindi quella di stabilizzare l’andamento delle quotazioni degli artisti che esse rappresentano, in modo ottenere una reputazione di “garante del valore”.
Garantire che un’opera abbia un valore è un compito estremamente arduo e dipende dal fatto che ci sia qualcuno che sia disposto ad acquistarla. I collezionisti tuttavia nutrono in genere forti dubbi sulle proprie scelte, e sono quindi restii a comprare qualcosa di cui non sono convinti. Per questo motivo le gallerie tendono a entrare direttamente nel processo decisionale del collezionista per mezzo delle proprie strategie di marketing.
Le strategie commerciali delle gallerie sono generalmente costituite sulla base di cinque principali leve attraverso cui tentare di convincere gli acquirenti: da una parte attraverso le politiche dei prezzi, che influenzano la percezione della qualità di un opera da parte dei clienti; da un’altra con la creazione di selling-out situation in grado di sostenere la credibilità dell’artista e quindi di farne crescere la domanda; poi per mezzo di campagne di comunicazione finalizzate nel far percepire l’opera d’arte come un bene raro, in modo da creare un alone di esclusività; inoltre attraverso l’instaurarsi di un rapporto personale di fiducia con il collezionista, in modo da fidelizzare la clientela e controllare la destinazione delle opere; infine attraverso un’attività segnaletica, ovvero curando la propria immagine in modo da rassicurare i propri clienti sulle proprie capacità professionali.
Il prezzo di vendita delle opere costituisce un importante elemento nelle politiche commerciali delle gallerie in quanto, come si è visto, conferisce un valore simbolico all’opera stessa[4]. Questo strumento di marketing è tuttavia un’arma spuntata per le gallerie di scoperta, in quanto gli artisti agli esordi non hanno elementi abbastanza forti per differenziarsi l’uno dall’altro e quindi giustificare una differenza significativa nelle quotazioni[5]. Più in particolare una politica iniziale dei prezzi troppo bassa risulta infatti penalizzante, in quanto darebbe l’impressione che le opere in questione non siano di qualità; al contrario una politica dei prezzi agli esordi particolarmente “spumeggiante” determina che le quotazioni dell’artista crescano in maniera eccessiva con il conseguente rischio che a un certo punto si fermino, compromettendone la carriera.
Agli inizi di carriera i galleristi di scoperta tendono ad applicare criteri il più possibile oggettivi, in modo da giustificare il prezzo di vendita di opere di artisti che appaiono per le prime volte sul mercato: il loro valore intrinseco è quindi fortemente aleatorio. Per i dipinti ad esempio è prassi che le quotazioni di partenza di un artista siano calcolate sulla base di un determinato coefficiente che lega le dimensioni dell’opera e la tecnica al suo valore[6]. Per le sculture o le installazioni invece la parametrizzazione viene in genere fatta in base al costing, cioè al costo dei materiali e del processo di creazione dell’opera, nonché del tempo impiegato per la progettazione e la lavorazione. Per le foto i parametri fondamentali sono, oltre alle dimensioni, il numero di riproduzioni. I video non hanno chiari criteri di pricing, ma dipendono fondamentalmente da costi di produzione e numero di copie[7].
I parametri di stima poi tendono ad assumere valori più elevati in funzione dell’accortezza dell’attività promozionale della galleria, che consiste nella creazione di selling-out situations in grado di supportare il processo di crescita delle quotazioni dell’artista e la sua legittimazione all’interno del mondo dell’arte.
Le selling-out situations sono quindi eventi che danno visibilità all’artista, incrementandone la credibilità all’interno del sistema. Questi possono consistere nell’organizzazione di mostre personali, la partecipazione a collettive, la stampa di un catalogo, l’ottenimento di recensioni critiche, la presenza a fiere o l’inserimento in collezioni pubbliche o private di un certo rilievo. Naturalmente l’attività promozionale delle gallerie di scoperta non può prescindere completamente dal valore culturale degli artisti rappresentati: si può invece dire che la galleria, come un allenatore che cerca di far crescere uno sportivo la cui base di partenza sono le doti atletiche, cerca di integrare le qualità intrinseche dell’artista (ovvero il suo DNA artistico) con la propria capacità di dargli visibilità[8].
Un ulteriore strumento di marketing a cui le gallerie ricorrono è quello di far percepire il bene arte contemporanea come un oggetto di glamour, facendo quindi sentire i collezionisti come individui privilegiati che possono ambire a impossessarsi di qualcosa di estremamente esclusivo. La strategia del glamour viene attuata costituendo liste di attesa, in cui i collezionisti sono inseriti per ordine di preferenza. Nel caso di artisti ancora in erba, che devono ancora emergere, l’elemento dell’esclusività, sebbene possa comunque contribuire a vendere, è in realtà di poco appiglio. Come anche la politica dei prezzi, esso assume maggiore importanza nei comparti superiori del mercato dell’arte contemporanea.
Tuttavia ciò non significa che le gallerie di scoperta non facciano utilizzo di liste di attesa per i collezionisti, ma le motivazioni sono diverse. Le liste di attesa infatti sono un ottimo strumento per la selezione della clientela[9]. Esse permettono al gallerista di scegliere a chi vendere un’opera, permettendo di piazzarla presso quei collezionisti che gli danno maggiori garanzie, ovvero che la mantengano a lungo nelle propria collezione e che la mostrino al pubblico.
Le liste d’attesa sono inoltre un mezzo gentile per evitare di vendere opere a collezionisti che in genere hanno la fama di speculatori sul mercato, quindi, come si avrà meglio modo di vedere, risultano essere poco graditi. In altre parole attraverso queste liste il gallerista non vende subito appena riceve un’offerta pari al prezzo di vendita, ma aspetta un certo periodo di tempo per valutare la situazione del mercato e vedere come meglio piazzare l’opera[10].
Quello del piazzare le opere è per le gallerie un’importante operazione di marketing. Esse infatti a volte richiedono a direttori di musei o a collezionisti importanti di comprare opere di un tal artista in cambio di favori, che possono andare dalla concessione di un opera in prestito alla contemporanea cessione di un lavoro di un artista più rappresentativo.
Un’ulteriore strategia commerciale è costituita dalla personalizzazione dei rapporti tra gallerista e collezionista. Se tutta una serie di attenzioni naturalmente fa parte di una normale politica di vendita, poiché i clienti traggono piacere nel sentirsi valorizzati ed ascoltati nei loro bisogni di acquisto, questa strategia in realtà ha radici più profonde: serve infatti a scongiurare situazioni in cui il gallerista perda il controllo del mercato dell’artista che rappresenta.
La personalizzazione dei rapporti di vendita prevede che il gallerista si informi su chi è il collezionista, chiedendogli a volte anche della sua vita privata o professionale; che lo inviti personalmente alle cene esclusive con l’artista dopo le inaugurazioni; che puntualmente lo metta ai primi posti nelle liste di attesa; che gli conceda sconti personalizzati, facendolo sentire speciale.
La personalizzazione dei rapporti prevede inoltre che il gallerista consigli il collezionista sui migliori pezzi da comprare, fornendo a questi gratuitamente la propria expertise. Tale attività di consulenza, che gli economisti definiscono screening[11], è tesa a limitare gli effetti perversi della presenza di asimmetrie informative (che può avvenire anche in maniera indiretta per mezzo di critici e advisors con cui le gallerie hanno strette collaborazioni) ed è quindi soggetta ad un chiaro conflitto di interesse con l’attività commerciale. Ne scaturisce un rischio di comportamenti scorretti (azzardo morale) consistenti nel consigliare ai clienti non tanto le opere di pregio, quanto invece quelle che non si sono altrimenti riuscite a piazzare sul mercato.
D’altro canto anche i galleristi sono a loro volta soggetti a un moral hazard da parte dei collezionisti, e cioè che lo sforzo profuso nel “piazzare” le opere dell’artista presso le collezioni “giuste”, non sia né capito né rispettato. I collezionisti (raramente accade per i musei) invece di valorizzare le opere tenendole a lungo nelle proprie collezioni, possono decidere infatti, per i più svariati motivi, di liberarsi dei lavori acquistati, rivendendoli sul mercato secondario tramite trattativa privata o (ancor peggio) attraverso il circuito delle aste. La messa in vendita sul mercato secondario di opere di artisti ancora agli esordi, oltre a fornire un segnale negativo agli addetti ai lavori (l’artista risulta non essere appetibile), determina per la galleria una perdita dell’esclusiva sia del controllo delle quotazioni (divenute nel caso di vendita all’asta addirittura pubbliche) sia della reputazione dell’artista, in quanto essa non potrà più determinare né la proprietà delle opere, né il prezzo a cui esse debbano essere rivendute.
Secondo la teoria dei giochi, nel caso il gioco venga ripetuto un numero indefinito di volte, i comportamenti opportunistici non rappresentano più un approdo naturale (cioè un equilibrio di Nash), perché una mossa sleale significherebbe una fine del rapporto e quindi una perdita di opportunità future.
Perché un rapporto si prefiguri come duraturo e continuativo, in modo da garantire un comportamento leale, è necessario che le controparti si guadagnino l’un l’altro la rispettiva fiducia[12].
In realtà esistono strumenti forse più efficaci e coercitivi per scongiurare il moral hazard che il semplice instaurarsi di un bon ton tra le controparti. Le gallerie infatti sono solite segnalare comportamenti scorretti dei collezionisti redigendo delle vere e proprie liste nere (black list) di acquirenti non graditi che fanno girare tra di loro in maniera quasi corporativistica. Accanto alle liste nere si possono poi trovare le liste grigie, cioè di coloro la cui scorrettezza non è evidente ma sotto controllo[13].
I collezionisti d’altro canto, pur non avendo uno spirito consociativo altrettanto forte, senza quindi redigere documenti condivisi, possono anch’essi ricorrere all’arma della moral suasion, e cioè di esercitare il proprio potere relazionale e di comunicazione per segnalare all’interno del mondo dell’arte eventuali comportamenti scorretti da parte dei galleristi, in modo da contrastarli[14].
La moral suasion è ovviamente tanto più grande quanto maggiore è il potere e l’influenza del collezionista nel sistema. I galleristi riconosciuti come colpevoli di comportamenti riprovevoli, oltre che essere messi al bando da altri collezionisti, vengono ostracizzati in primis dalla loro categoria, che basa il proprio valore aggiunto proprio su quella capacità di instaurare un legame di fiducia nei confronti dei propri clienti.
Infine un altro elemento cruciale nella strategia commerciale delle gallerie di scoperta è la loro attività segnaletica (signaling)[15]. Con essa si intende la capacità del gallerista di convincere il collezionista di essere un abile professionista, in grado di individuare sul mercato gli artisti più promettenti e capaci. Per fare ciò i galleristi cercano di dare, nei limiti delle loro disponibilità economiche (è bene ricordarlo, le gallerie di scoperta molto spesso hanno non pochi problemi di budget), segnali evidenti del loro successo: un “parco artisti” di un certo livello, che includa oltre ai nuovi arrivati anche qualche nome già conosciuto; una sede prestigiosa, moderna, spaziosa e luminosa, in grado di mettere in evidenza le opere esposte[16]; mostre con opere selezionate, di un certo interesse e soprattutto inedite, disposte nello spazio in maniera creativa da curatori dalle indiscusse qualità; ricevimenti con ospiti di rilievo, tra cui importanti collezionisti, artisti, curatori e personaggi del mondo della cultura, dell’economia, della politica o dello spettacolo, il tutto corredato da un ambiente aperto, raffinato ed informale; partecipazione alle maggiori fiere nazionali nella sezione gallerie emergenti, nonostante le ingenti commissioni (fee) e i notevoli costi organizzativi e di trasporto. In altre parole tanto più la galleria è rinomata grazie alla sua attività segnaletica, quanto più essa conferisce un valore intrinseco agli artisti che essa rappresenta.
La composizione di domanda e offerta
Nell’Alternative Market domanda e offerta differiscono sensibilmente da quelle del Junk Market.
Si è visto nel precedente articolo che la domanda nel segmento degli aspiranti artisti era basata prevalentemente su motivazioni di tipo ornamentale e quindi faceva capo (se si escludono gli sparuti appassionati alla ricerca di talenti in erba) più che a collezionisti veri e propri, ad acquirenti saltuari senza particolare trasporto per l’arte.
Nel segmento degli artisti emergenti il collezionismo di natura “ornamentale” è invece molto più ridimensionato, in ragione dei prezzi più alti e della necessità di entrare in contatto con i galleristi che in genere vedono di cattivo occhio chi compra opere per far da pendant con le tende di casa.
Per contro i collezionisti d’avanscoperta, cioè quei talent scout che investono nell’avanguardia per passione e perché sono sicuri del proprio gusto, costituiscono invece una parte rilevante di chi compra. Essi sono in gran parte intellettuali, dirigenti, imprenditori o liberi professionisti, appartenenti ad una classe agiata, che nutrono un vivo interesse per l’arte pur non disponendo sempre di ingenti risorse finanziarie. I collezionisti d’avanscoperta hanno un orizzonte temporale di riferimento di lunghissimo periodo: essi acquistano a prezzi modici artisti alle prime armi nella speranza che un giorno questi ottengano successo e che il loro investimento si rivaluti. Nel caso poi ciò non dovesse succedere comunque sono contenti, poiché essi comprano opere di loro gusto, a cui si affezionano con il tempo e che divengono parte di quel patrimonio affettivo da trasmettere magari ai figli o da donare a qualche istituzione. Addirittura alcuni di questi costituiscono dei mecenati dei tempi moderni, poiché la loro passione tale da entrare in contatto diretto con gli artisti e condividere con loro i progetti, in un rapporto quasi simbiotico, è così forte da escludere la necessità dell’artista di farsi rappresentare da una galleria[17].
Accanto ai collezionisti d’avanscoperta è possibile trovare un’altra categoria fortemente presente in questo segmento (come d’altronde in quello Junk), cioè coloro che comprano per il puro gusto collezionare, cioè trovare oggetti che abbiano in comune qualche caratteristica (“collezionisti seriali”). Proprio perché le opere dell’Alternative Market sono in genere a prezzi abbordabili, essi si divertono ad accumularle seguendo specifici filoni in base all’artista, alla corrente culturale cui questi appartiene, o al soggetto rappresentato.
Nel mercato Alternative operano inoltre i grandi mercanti d’arte e collezionisti di brand, che si differenziano dai collezionisti di avanscoperta sia per le finalità (speculative, più che filantropiche e culturali o legate alla passione), sia per il loro maggior potere nel sistema dell’arte. Essi infatti, grazie alla loro capacità di opinion maker sono in grado di fare tendenza, influenzare l’evoluzione del gusto e l’andamento del mercato[18], trasformando, come dei Re Mida, in slot machine truccate tutti gli artisti che essi comprano[19]. Grazie agli appoggi e alla visibilità che hanno nel sistema dell’arte i mercanti e i collezionisti di brand sono in grado di far decollare la carriera dell’artista in tempi brevissimi[20]: l’acquisto di artisti emergenti si prospetta per loro come un investimento con grandi possibilità lucrative abbinate ad un grado di rischio moderato. Una volta lanciati, come si vedrà, questi artisti vivono dell’abbrivio ricevuto per gran parte della loro carriera, ma sono poi destinati a cedere il passo nel caso non avessero reale talento.
Nel comparto degli artisti emergenti raramente invece si riscontrano collezionisti che comprano per ottenere uno status (in genere corrispondono a individui dalle notevoli risorse economiche e finanziarie[21] ma senza particolari conoscenze in campo artistico): i collezionisti per status prediligono infatti i comparti più alti del mercato dove possono acquistare artisti di brand facilmente riconoscibili.
Nel settore Alternative sono inoltre poco frequenti le operazioni di acquisto da parte di investitori istituzionali o collezionisti speculatori, in ragione dell’elevato rischio dell’investimento, legato sia all’aleatorietà della carriera di questi artisti, sia al basso grado di liquidità del mercato, sia all’orizzonte di lungo periodo necessario per avere un ritorno interessante.
A questo punto viene da chiedersi quale forma assuma la curva di domanda (di art stock) nel segmento. Sia che la domanda faccia capo a esigenze di tipo “ornamentale”, che alla passione per l’arte, che alla mania di collezionare, il problema per chi compra è quello di districarsi in un settore dove l’offerta è molto ampia ed eterogenea, senza spesso avere in mano gli strumenti per decidere i propri acquisti in modo oculato. Si è visto inoltre che i collezionisti tendono a trarre importanti segnali di qualità dal prezzo a cui le opere sono messe in vendita. Il prezzo diviene in questo segmento quindi indicatore fondamentale del valore simbolico dell’opera: in genere opere che abbiano prezzi troppo bassi trovano paradossalmente una domanda minore di quelle più costose. Questo “effetto qualità”, messo in evidenza da Stiglitz[22], determina paradossalmente un’inclinazione positiva della curva di domanda sia nel breve che nel lungo periodo. L’elasticità della domanda tenderà a decrescere nel segmento, fino a risultare pari a zero in corrispondenza del suo limite superiore (la curva di domanda qui risulta verticale e quindi completamente rigida: si vedano rispettivamente le figure 1 e 2)[23].
Bisogna tuttavia riscontrare che la domanda di opere dell’Alternative Market non dipende solo dal prezzo, ma è influenzata (positivamente) da variabili esogene quali: un alto grado di istruzione media della popolazione, la presenza di una componente demografica giovane con livelli di reddito elevati, una distribuzione della ricchezza diffusa a livello dei ceti medi.
Per quanto riguarda l’offerta di art stock, se il Junk Market è un gran calderone dove è possibile trovare artisti di diverso genere, la cui produzione è legata principalmente a fattori non economici, nel mercato Alternative[24], come si è visto, essa viene a dipendere principalmente da considerazioni di profitto. L’offerta infatti è qui sottoposta a un preciso vincolo di natura economica: i prezzi di equilibrio sul mercato, frutto dell’incontro tra domanda e offerta, rappresentano i singoli ricavi unitari ottenibili dalle vendite delle opere, che nel loro complesso devono risultare sufficienti da una parte a remunerare sia l’artista che la galleria, e dall’altra a coprirne i relativi costi[25].
In particolare le gallerie di scoperta devono sostenere per la promozione degli artisti (che sono ancora nelle prime fasi della loro carriera) notevoli costi, che possono considerarsi fissi in quanto le spese di tale attività non dipendono dal numero di opere vendute, ma piuttosto dal ritorno di immagine di cui le parti possono beneficiare. Ne consegue che le gallerie, visto gli ingenti oneri da ammortizzare, richiedano contrattualmente agli artisti rappresentati un ammontare minimo di opere da produrre, al fine di poter rientrare nelle spese (con ovvie ricadute sulla creatività e quindi sulla qualità artistica). Gli artisti da parte loro saranno incentivati a portare avanti la produzione fin quando i relativi costi marginali (che fanno capo soprattutto al limite nella capacità creativa, mentre i costi di produzione sono in genere meno determinanti) non saranno uguali ai loro ricavi marginali, ovvero al prezzo di vendita delle opere al netto delle commissioni della galleria.
Si studi ora la conformazione della curva di offerta. A tal fine vanno presi in considerazione diversi fattori. L’offerta nel breve periodo è influenzata innanzitutto dal fatto che le opere d’arte sono beni durevoli: essa quindi viene a dipendere, oltre che dalla produzione attuale, anche da quella precedente. La curva di offerta di breve periodo, quindi, nel suo primo tratto, corrispondente alle opere precedentemente prodotte messe in vendita, assume una forma perfettamente rigida (si veda la figura 1)[26].
Parallelamente la notevole presenza di costi fissi determina che i costi marginali (e quindi i costi medi totali) di breve periodo assumano nel primo tratto un’inclinazione negativa. All’aumentare della produzione tuttavia, in ragione dei forti vincoli legati alla limitata capacità creativa di un artista, produrre un’opera aggiuntiva diviene più impegnativo (secondo il principio della produttività marginale decrescente) rispetto a quella precedente; dunque con il crescere della produzione l’offerta diviene più rigida e la curva viene ad assumere un’inclinazione positiva. Gli artisti devono quindi produrre quantità superiori a quella corrispondente al punto in cui i costi marginali superano i costi medi variabili (punto Ś della figura 1), altrimenti saranno in perdita (e con essi le gallerie). La curva di offerta risulterà quindi assumere nel breve termine una forma anomala, in cui per un tratto l’offerta risulta interrompersi (ved. sempre la figura 1).
Se si analizza la curva di offerta nel lungo periodo si può presumere che essa, come normalmente accade, sia più elastica che nel breve periodo, in relazione alla maggiore flessibilità nell’utilizzo dei fattori produttivi. Ciò tuttavia non vale nel caso del mercato degli artisti emergenti. L’offerta sul mercato Alternate risente infatti notevolmente delle politiche di marketing attuate dalle gallerie, che si è visto sono finalizzate a garantire una crescita graduale e duratura delle quotazioni degli artisti. Questo elemento determina il fatto che, mentre nel breve termine la produzione è libera di variare secondo le necessità della galleria, nel lungo periodo invece una produzione eccessiva può riflettersi negativamente sulle quotazioni dell’artista, poiché, nonostante le diverse manovre di sostegno a disposizione delle gallerie, rischia di comprometterne la carriera. Se la produzione quindi dovrà crescere nel breve termine per fare aumentare costantemente le quotazioni e sviluppare il mercato dell’artista, nel lungo periodo in realtà l’offerta è sottoposta ad un vincolo di mercato che la rende completamente rigida[27].
Questa particolarità trova conferma teorica nel fatto che ci si trova, come meglio si vedrà, in un mercato con una struttura di concorrenza monopolistica, con minime barriere all’entrata (per le gallerie) e profitti vicini allo zero, per cui il punto di ottimo deve stare sulla curva dei costi medi, sulla curva di domanda e soddisfare la condizione per cui il costo marginale è pari al beneficio marginale. Essendo in questo settore la curva di domanda inclinata positivamente, la curva dei costi marginali e quella dei costi medi devono quindi coincidere ed essere perfettamente rigide, nonché tangenti alla curva di domanda nel punto di massimo dei prezzi e della produzione, che rappresenta il punto di equilibrio (si veda la figura 2)[28].
Si analizzino infine la domanda e l’offerta di servizi espositivi (art service) per l’Alternative Market. Per quanto riguarda la domanda di art service, essa invece tende a corrispondere in gran parte con il desiderio di proprietà, e quindi con la domanda di art stock. Da un punto di vista dell’offerta, essa è pressoché interamente relegata all’attività espositiva delle gallerie, che avviene sia nelle proprie sedi, sia in occasione delle fiere cui esse partecipano. Raramente le opere di artisti emergenti vengono invece acquistate da musei e da loro esposte, anche se si riscontrano diverse eccezioni che confermano la regola. Più spesso accade piuttosto che questi artisti entrino a far parte di qualche collezione privata che abbia una sede espositiva, con la possibilità quindi da parte del pubblico di prenderne visione, o che vengano selezionati da curatori indipendenti per qualche mostra collettiva o manifestazioni come le biennali minori.
Note
[1] Cfr. Guenzi M. (2014), “Anomalie del mercato dell’arte contemporanea: il problema della selezione avversa degli artisti”, Economia e Diritto, n. 11.
[2] Si veda lo scorso articolo: Guenzi M. (2015), “Il mercato degli artisti emergenti (Alternative Market) – Prima parte”, Economia e Diritto, n. 7.
[3] Cfr. Velthuis O. (2005), Talking Prices: Symbolic Meanings of Prices on the Market for Contemporary Art, Princeton University Press, Princeton.
[4] Velthuis O. (2005), Op. Cit..
[5] Come si vedrà in seguito, le politiche dei prezzi risultano fondamentali negli stadi successivi della carriera di un artista.
[6] Più in particolare per la determinazione del prezzo di un dipinto si applica un coefficiente che è indicativo dell’importanza dell’artista (agli inizi è circa 10), che viene moltiplicato per la somma di altezza e larghezza dell’opera. Ad esempio un quadro 50×50 di un giovane artista (coefficiente 10) può valere 1000 euro. Per tecniche meno nobili dell’olio (es. acquarello o disegno a matita) in genere i coefficienti sono ridotti in proporzioni variabili. Zampetti Egidi C. (2014), Guida al mercato dell’arte contemporanea, Skira, Milano-Ginevra.
[7] Cfr. Zampetti Egidi C. (2014), Op. Cit. e Foglio A. (2005), Il Marketing dell’arte, Franco Angeli, Milano.
[8] In tal senso gli artisti che risultano avere le migliori chance per ottenere successo nel lunghissimo periodo sono gli artisti d’avanguardia, mentre nel medio-lungo periodo chi riesce a performare meglio sono quelli sensazionalistici. Gli artisti di mercato invece, che costituiscono la maggioranza degli artisti rappresentati dalle gallerie a questo stadio, dovranno accontentarsi di un successo di breve periodo. Cfr. Guenzi M. (2015), “La teoria della produzione del valore artistico”, Economia e Diritto, n. 2-3.
[9] Questa politica è seguita spesso anche in altri settori di beni di lusso, come ad esempio quello delle automobili sportive di alta gamma; per acquistarne una infatti non si deve andare dal concessionario, ma ordinarla direttamente alla casa madre, che la consegnerà solo dopo un certo periodo.
[10] I galleristi di scoperta non seguono quindi nelle vendite il criterio del massimo realizzo: essi preferiscono ad esempio vendere un’opera ad un museo, accrescendo la visibilità dell’artista, piuttosto che cederla per un importo maggiore ad un collezionista sconosciuto.
[11] Cfr. Stiglitz J. E. (1975), “The Theory of ‘Screening’, Education, and the Distribution of Income”, American Economic Review, American Economic Association, Vol. 65 No.3, pp. 283-300.
[12] E’ interessante quindi constatare che i galleristi di scoperta oltre a dover instaurare un solido rapporto con gli artisti (come visto nello scorso numero), basano la loro reputazione (e in ultima analisi la possibilità di crescere in questo piccolo mondo), oltre che sulle loro qualità di scopritori di talenti, anche sulla lealtà nei confronti dei collezionisti. I collezionisti di artisti emergenti, a loro volta, se vogliono avere opportunità di accrescere nel tempo la loro collezione, dovranno dare garanzie di tipo deontologico alla categoria dei galleristi.
[13] Adam G. (2014), Big Bucks – The Explosion of the Art market in the 21st Century, Lund Humphries, Farnham.
[14] La moral suasion è diventata un’arma molto potente a disposizione dei consumatori grazie allo sviluppo di Internet e in particolare di piattaforme dove vengono recensiti i venditori tramite i giudizi espressi dagli utenti, andando ad influenzare direttamente la reputazione che essi hanno presso il pubblico. Lo stesso commercio di opere d’arte vendute on-line ha potuto godere del fatto che sui siti di vendita di opere d’arte vi è la possibilità per gli utenti di fornire un feed-back sui propri acquisti.
[15] Cfr. Spence M.(1973), “Job Market Signaling”, Quarterly Journal of Economics, The MIT Press, Vol. 87 No. 3 pp. 355–374.
[16] Il collezionista Tobia Mayer afferma infatti: “You sell more if you have a bigger space”. Il modello seguito è quello del White Cube: grandi spazi rigorosamente luminosi, con soffitti alti, pareti bianche e pavimento grigio (Adam G. (2014), Op. Cit).
[17] Quando il collezionista di avanscoperta si sostituisce al gallerista nella promozione e nel sostegno della carriera dell’artista assume tuttavia un ruolo differente, poiché egli sostiene l’artista in maniera molto più diretta, condividendone appieno i rischi (si ricorda infatti che egli partecipa nel capitale economico prodotto dall’artista).
[18] Come per la moda le tendenze nel mondo dell’arte sono fatte da alcuni opinion maker che orientano il mercato verso una tipologia di arte piuttosto che verso un’altra. Questi sono in primis i direttori dei principali musei che in concerto con i maggiori collezionisti, le più importanti gallerie e case d’aste, i curatori più affermati, selezionano il tipo di arte da presentare al pubblico. Come si vedrà un cambiamento del gusto non è solo un fenomeno deciso a tavolino dai vertici del sistema dell’arte, ma deriva dalle forze propulsive legate alla nascita di nuovi movimenti culturali che riescono ad affermarsi e a prendere spazio sul palcoscenico dell’arte mondiale grazie al prodursi di una brusca caduta della domanda per gli artisti di maggiore successo, conseguente allo scoppio della bolla speculativa che viene a determinarsi sul mercato.
[19] Il riferimento è preso dal titolo del libro: Gramiccia R. (2012), Slot Art Machine, Il grande business dell’arte contemporanea, DeriveApprodi, Roma.
[20] Spesso il potere di influenzare il mercato di questi personaggi è tale che essi comprano opere anche direttamente opere sul Junk Market da artisti senza galleria e si occupano poi di lanciarli alla stregua di una galleria di scoperta.
[21]In gergo bancario HNWI, high net wealth individuals e VHNWI, very high net wealth individuals.
[22] Stiglitz J. (1987), “The causes and consequences of the dependence of quality on price”, Journal of Economic Literature, Vol. 25, N. 1 , pp. 1-48
[23] La domanda del settore Alternate tende a sovrapporsi per il livello dei prezzi sia con il settore sottostante, quello degli artisti esclusi (Junk), sia con quello sovrastante, quello degli artisti affermati (Avanguarde). Ma mentre con il settore Junk si tratta di un mercato molto distinto, in quanto le opere sono vendute senza l’ausilio delle gallerie, con il settore Avanguarde la linea di demarcazione è meno netta. In questo caso la differenziazione si basa, oltre a caratteristiche ben riconoscibili, come la comparsa di un mercato secondario, sulla specificità della curva di domanda, la cui elasticità assume non più valori positivi, ma negativi.
[24] La maggior parte degli artisti che trovano rappresentanza delle gallerie di scoperta fa riferimento alla categoria degli artisti “di mercato”, cioè di coloro la cui finalità primaria è di produrre lavori di sicura vendibilità, cioè in linea con il gusto del momento, anche se non particolarmente innovativi. In questo comparto si riscontrano naturalmente (anche se in misura molto minore) artisti di avanguardia, che grazie o alle loro grandi qualità artistiche, o ad appoggi, o ad avvenimenti casuali, riescono a far breccia nel circuito delle gallerie. Si può trovare nel settore infine anche qualche artista sensazionalista, che per essere tale deve appunto rappresentare un’eccezione, in grado di avere grande eco all’interno del sistema. Queste ultime due categorie di artisti sono quelle che poi avranno più chance di avanzamento di carrriera. Cfr. Guenzi M. (2015), “La teoria della produzione del valore artistico”, Economia e diritto, n. 15-16.
[25] Dato che la domanda è limitata, le gallerie di scoperta sono in grado di commercializzare solo un certo numero di artisti. Si vengono dunque a formare nel comparto notevoli barriere all’entrata che ne limitano la concorrenzialità. Si analizzerà meglio questo punto nel prossimo numero.
[26] Si fa notare che gli artisti emergenti hanno in genere alle loro spalle una produzione più limitata rispetto a quella dei comparti superiori (degli artisti più avanti nella carriera), per cui la loro offerta dovrebbe risultare complessivamente più elastica.
[27] Come uscire da questa situazione di empasse, lo si vedrà prossimamente. E’ interessante notare a proposito che la necessità delle gallerie di controllare sia il livello di produzione (si è appena visto che nel lungo periodo l’offerta dell’Alternate Market è completamente rigida), sia la collocazione delle opere (per evitare di perdere il controllo del mercato) non sarebbe attuabile se nel comparto si sviluppasse un mercato parallelo dei falsi. Fortunatamente ciò non avviene poiché gli artisti non hanno ancora acquisito una fama tale per cui la falsificazione sarebbe. Nel comparto semmai è più rilevante il problema della difesa della proprietà intellettuale, poiché spesso si verificano furti di idee che sono difficilmente dimostrabili.
[28] Cfr. Chamberlin E. (1933), The Theory of Monopolistic Competition: A Re-orientation of the Theory of Value, Harvard University Press, Harvard, e Robinson J. (1933), The Economics of Imperfect Competition, Macmilian, Londra.