Post-Brexit: i rischi di concorrenza fiscale nei rapporti tra Unione Europea e Regno Unito
Post-Brexit: i rischi di concorrenza fiscale nei rapporti tra Unione Europea e Regno Unito
di Claudio Melillo
Conseguenze post-brexit anche sul piano fiscale. Si traccia un bilancio obiettivo in vista dell’imminente separazione formale dall’Ue, come annunciato dalla stessa Theresa May.
A meno di un anno dalla decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea, le polemiche non sembrano placarsi. I quesiti a cui dare risposte certe sono ancora tanti, soprattutto per quanti, in veste di semplici spettatori o di studiosi, stiano tentando di pronosticare il susseguirsi degli eventi.
La premier Theresa May, a suo modo, sta tentando di chiarire alcune questioni afferenti l’ambito fiscale. Nel mese di novembre dello scorso anno annunciava una riduzione della corporation tax indicativamente dal 20 al 17 per cento con il fine di attrarre imprese innovative o almeno di trattenere le grandi imprese dubbiose sul futuro della Gran Bretagna. Esaltava l’importanza di un sistema fiscale favorevole all’innovazione sostenendo l’idea di voler rendere il Regno Unito uno dei paesi più competitivi in Europa.
Una Brexit, stando alla May, più che vantaggiosa per un Paese che si prospetta sempre più innovativo e all’avanguardia grazie agli ingenti investimenti in ricerca e sviluppo.
Tuttavia, anche alla luce dell’esito (non brillante per la May) delle recenti elezioni politiche, c’è da attendere per capire se tutto questo sarà effettivamente concretizzabile e se ci saranno le dovute possibilità economiche affinché questo accada.
Una tassazione più bassa, oltretutto, potrebbe non essere sufficiente a garantire la permanenza delle imprese nel territorio inglese. Appartenere all’Unione Europea dà diritto anche a una serie di vantaggi: dal mercato comune alle politiche sociali, nonché ad una maggiore semplificazione burocratica sull’IVA. Meccanismi di cui il Regno Unito non potrà più fruire una volta che si sarà concretizzata l’uscita dall’Unione.
A rendere il quadro ancor più critico, è il clima pur sempre incerto sui nuovi regimi fiscali. Situazione questa, che, anziché attrarre, potrebbe spingere le imprese a trasferirsi altrove determinando una riduzione del gettito fiscale che, ovviamente, la Gran Bretagna sarà costretta a compensare con aliquote più elevate.
Da circa un mese, ormai, presso la Camera dei Comuni, è stata avviata la prerogativa per rendere effettiva la rottura con l’UE. La May ha optato per la strada più tortuosa, la Hard Brexit, che segna il taglio definitivo con l’Europa.
In buona sostanza, una Gran Bretagna globale, come la premier suole definirla, che sia del tutto autonoma e indipendente, ma al contempo, seppure fuori dall’Unione, sua fedele alleata per gli scambi commerciali. Come se l’Europa non avesse altra scelta.
E in effetti, suona come una minaccia il discorso di questi ultimi giorni sul tema della Hard Brexit. La premier avrebbe interesse ad intrattenere con l’Europa un rapporto quasi amichevole che permetta ad entrambe di poter fruire delle relazioni di scambio; nel caso in cui l’Europa dovesse dimostrarsi restia ad accettare una tal proposta, la May si dice pronta ad attuare tutte le misure necessarie a far si che la Gran Bretagna diventi ancor più vantaggiosa e competitiva.
Concludendo, la confusione è ancora molta, nonostante la premier britannica tenti di convincere l’altra metà del Paese, contraria alla Brexit, e le grandi imprese dei benefici di tale scelta. Rimarcare una tassazione inferiore, non sembra, al momento, una tesi dimostrabile o concretizzabile dal momento che gli effetti del referendum saranno visibili solo nel lungo periodo. Gli inglesi hanno deciso, i giochi sono fatti, ma le “carte”, sono ancora tutte da scoprire.