Europa 2015?
(di Alessio Rombolotti)
Se la domanda europea procede al passo attuale tornerà ai livelli del 2007 solamente nel 2020, ma se avessimo mantenuto, o se manterremo, nello stesso periodo una crescita media del 2% il prodotto interno sarebbe, o sarà, il 30% in più di quello del 2007. Dopo sette anni, in Europa, in Italia, molte persone pensano che la crisi non sia finita, ma è vero oppure è il caso di prendere atto che il livello di benessere al quale eravamo abituati non sia più sostenibile? Dobbiamo credere di essere in una fase di transizione verso la crescita oppure è il momento di capire che il mercato si sia significativamente ridotto e sia cambiato rispetto a qualche anno fa, obbligandoci quindi a modificare la gestione e la pianificazione economica ?
In Italia la crescita è più bassa degli altri paesi occidentali dagli anni ‘80 e personalmente sostengo da tempo che la crescita internazionale di una volta non possa essere mantenuta per mancanza di invenzione e innovazione. Le automobili, gli aeroplani, gli antibiotici, l’insulina, la fisica quantistica, sono prodotti della prima metà del secolo scorso, che hanno assicurato la crescita economica del dopo-guerra, prodotti di cui hanno beneficiato popolazioni e generazioni intere. La seconda metà del ‘900 ha prodotto molto meno, sicuramente tecnologia dell’informazione e della comunicazione e un po’ di genetica, evidentemente non abbastanza per mantenere i tassi di sviluppo di una volta. Mentre nel 2015 voleremo alle stesse velocità degli anni ’60 mi ricordo che negli anni ’70 era pensiero comune che entro la fine del secolo le macchine sarebbero sparite o almeno avrebbero volato, erano queste le aspettative che offrivano le innovazioni e le invenzioni del ‘900, invece abbiamo avuto una grande decelerazione delle grandi innovazioni, di quelle innovazioni che cambiano lo stile di vita di intere popolazioni. Poi abbiamo gli effetti dell’ideologia e dell’ignoranza sulla pianificazione economica nazionale ed internazionale. La paura che abbiamo dei paesi a basso costo di mano d’opera è l’esempio migliore di come non abbiamo capito cosa siano i costi e di come riusciamo a danneggiare proprio i soggetti che vorremmo o dovremmo proteggere. Il costo del lavoro dipende dal rapporto fra quantità prodotta, di beni e servizi, e quantità di ore di lavoro disponibili, quindi va da sé che le nazioni con basso prodotto interno e alto numero di abitanti in età lavorativa abbiano un costo del lavoro relativamente basso, ma se una nazione decide, esplicitamente o implicitamente, di competere a livello di costo allora deve, coerentemente con la propria strategia, avere una politica industriale che mantenga basso il costo della propria mano d’opera. In Italia e in altri paesi europei è possibile ottenere questo risultato con l’immigrazione e la deregolamentazione dei salari, punto. Se questa politica non è accettabile perchè significherebbe cancellare diversi diritti acquisiti dai lavoratori allora dobbiamo cambiare strategia e non competere sui mercati a bassa tecnologia, ma l’Italia e l’Europa nel suo complesso hanno investito per competere ad un elevato livello tecnologico, dove i costi di mano d’opera non siano un fattore critico ? Sembra proprio di no.
E’ vero però che se alti tassi di crescita, 6/8%, non siano più possibili, gli americani stanno pur dimostrando di poter crescere ancora nell’economia moderna, che cosa li differenzia dall’Europa, effetti demografici ? Politiche fiscali ? Politiche monetarie ? Livelli d’investimento ? La nostra debolezza è soprattutto di natura macro-economica ma il “Governo Europeo” ha molte difficoltà quando si tratta di interventi monetari e fiscali e non avrebbe molte risorse per affrontare un ulteriore shock economico e finanziario. Le economie europee corrono il rischio di rimanere in un lungo periodo di stagnazione, sia per la debolezza strutturale della domanda sia per la loro incompletezza istituzionale, attualmente ci stiamo muovendo verso un equilibrio economico di tipo giapponese dove agiscono forze deflazionistiche e proprio come negli anni ‘90 in Giappone la deflazione coincise con un picco dell’invecchiamento della forza lavoro oggi in Europa stiamo vivendo una situazione molto simile sotto questo aspetto. Se da un lato abbiamo bassi tassi d’interesse dall’altro abbiamo grandi divari fra i titoli dei debiti sovrani, abbiamo una situazione economica stagnante, una disoccupazione diffusamente elevata e difficoltà di accedere al credito. Non è ancora chiaro che l’austerità europea non funziona ?
Ovviamente tutto è concatenato, non possiamo chiedere ai tedeschi di pagare per gli italiani e in questo momento è molto difficile fare riforme nel senso di una maggiore unità fiscale europea, d’altro canto se la Germania esporta molto in Europa è chiaro che qualcuno avrà un deficit commerciale e se i tedeschi si rifiutano di volerlo finanziare proporzionalmente allora stanno dicendo “no” all’Europa unita. Abbiamo davanti un periodo difficile e credo che il rischio di una rottura sia significativo ma del resto che la distruzione sia la premessa per la costruzione è una legge universale.